No tinc por! Io non ho paura!

Barcellona si risveglia dal trauma dell’attacco terrorista a Las Ramblas con dignità e compostezza. Le indagini avanzano. Colpiti uomini e donne di decine di Paesi

No tinc por! (Non ho paura, in catalano), è il grido-protesta popolare che da Las Ramblas di Barcellona è dilagato sui media e sulle reti sociali, atterrando poi nelle diverse dichiarazioni istituzionali, nelle commemorazioni religiose domenicali, nelle concentrazioni di piazza e in altri tipi di dimostrazione di rifiuto del terrorismo.

Particolare rilievo si dà ora alle dichiarazioni di esponenti musulmani, che a Barcellona sono tante, anche in previsione di possibili reazioni islamofobiche, come è già successo in altri Paesi dopo un attacco terrorista rivendicato dal Daesh. Così, ad esempio, riporta il quotidiano El Mundo in un’intervista a Nabil, un commerciante magrebino, da anni in questa città, sentito nella moschea vicina a La Rambla ha detto: «Ieri questi assassini hanno macchiato il nome dell’Islam… Non sono musulmani, ma pazzi ai quali hanno lavato il cervello».

L’ipotesi del lavaggio del cervello prende consistenza con i progressi delle indagini di polizia. Almeno dodici terroristi molto giovani (cinque di loro hanno o avevano tra i 17 e i 19 anni) costituivano una cellula che sembra avesse come ispiratore Abdelbaki Es Satty, un marochino sulla quarantina che agiva da iman per la comunità musulmana a Ripoll, cittadina a cento chilometri a nord di Barcellona.

Potrebbe essere suo uno dei corpi trovati sotto le macerie di una villetta ad Alcanar, a 170 chilometri al Sud di Barcellona, distrutta mercoledì scorso da una forte esplosione. Sotto le macerie, sempre secondo le indagini, una buona quantità di bombole di gas butano e tracce di un esplosivo facile da preparare e già utilizzato altre volte dal Daesh (a Bruxelles, Parigi, Londra), conosciuto nei circoli jihadisti come “la madre di Satana”.

Tutto porta a sospettare che la cellula stesse preparando un attacco di grosse dimensioni che avrebbe potuto causare molte più vittime. Forse un errore o l’inesperienza di questi giovani radicalizzati ha evitato un vero massacro.

Dall’iniziale «questa volta è a toccata a noi», si sta passando a un significativo «è toccato qui». Il “noi” forse non è mai stato così plurale come a Barcellona, dove le vittime e i feriti, appartenenti a 34 diversi Paesi dei cinque continenti, anche se soprattutto europei e in particolare francesi, testimoniano la complessità delle nostre grandi metropoli. La grande varietà, appunto, oltre che suscitare un enorme impatto mediatico, ha richiesto l’interessamento di tanti governi per i propri connazionali, come è il caso dei ministri degli Esteri francese e tedesco, Jean-Yves Le Diran e Sigmar Gabriel.

Da segnalare anche una sinistra circostanza: i fatti sono accaduti in un contesto sociale complesso, colpito da una certa “turismo-fobia”, in una città colpita anche da uno sciopero del personale di sicurezza all’aeroporto El Prat, che ha causato lunghe attese ai passeggeri, e in un ambiente politico teso tra il governo centrale e quello regionale a proposito del possibile referendum indipendentista del 31 ottobre, dichiarato illegale da Madrid.

Non è la prima volta che la capitale della Catalogna subisce un attacco terrorista di grosse dimensioni. Nel 1987 l’organizzazione terrorista basca, l’Eta, provocò 21 morti con l’esplosivo deposto in un noto centro commerciale. Ora, col marchio dell’Isis, Barcellona si aggiunge al lungo elenco di città europee e di altri continenti colpite da un modo di fare terrorismo che qualcuno definisce low cost, a portata di chiunque pensi di far la guerra per conto proprio.

Continuano a giungere dimostrazioni di adesione al dolore e di affetto per i catalani. Tra le prime arrivate, quella di Paolo Gentiloni, presidente del Consiglio italiano, attraverso Twitter: «I miei pensieri vanno alle persone colpite». E tanti altri messaggi dai vari governi europei, dalle istituzioni dell’Ue, dalle città che hanno sofferto attentati simili, da squadre sportive, artisti, politici, semplici cittadini…

Il re, Felipe VI, ha voluto subito condividere il dolore della città con parole incoraggianti: «Sono degli assassini, semplicemente dei criminali che non riusciranno a terrorizzarci. Tutta la Spagna è Barcellona. Las Ramblas torneranno ad essere di tutti».

Oggi molti ricordano l’omaggio che il poeta Federico García Lorca fece a Barcellona, quando nel dicembre del 1935 passeggiava per Las Ramblas: «La via dove vivono insieme le quattro stagioni dell’anno, l’unica strada al mondo che io vorrei non finisse mai».

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