No armi per la guerra in Yemen, la Camera approva

Con il parere positivo del governo, passa la mozione che chiede di sospendere l’invio di armi ad Arabia Saudita e Emirati arabi. Rimosso il riferimento alla riconversione industriale

È un fatto difficile da capire in tutte le sue conseguenze. La Camera dei deputati ha approvato nella seduta di mercoledì 26 giugno 2019 una mozione che impegna il governo ad «adottare gli atti necessari a sospendere le esportazioni di bombe d’aereo e missili che possono essere utilizzati per colpire la popolazione civile e loro componentistica verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sino a quando non vi saranno sviluppi concreti nel processo di pace con lo Yemen».

Si tratta di un testo presentato da deputati della maggioranza (primo firmatario Cabras per il M5S e Formentini per la Lega) che ha ricevuto il parere del governo stesso con dichiarazione del sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, M5S, che, come è bene ricordare, ha partecipato lo scorso primo marzo al seminario promosso, presso la Camera, da numerose associazioni italiane e tedesche, assieme ad espressioni di primo piano della chiesa cattolica e della federazione evangelica, su “Produzione e commercio di armamenti: le nostre responsabilità”.

Quello che sembrava stranamente impossibile nel 2017, con le mozioni presentate alla Camera nella precedente legislatura, è accaduto dopo due anni in cui si è aggravata una devastante guerra che è sotto gli occhi della comunità internazionale e che non poteva non condurre a una qualche forma di reazione. Per questo motivo, come purtroppo già accaduto in passato con il bando delle mine antiuomo e delle bombe a grappolo, non bisogna attendere che arrivi un divieto esplicito per promuovere  la riconversione della produzione industriale.

Eppure, come fanno notare in un comunicato stampa dettagliato le associazioni e realtà da sempre in fila nella questione Yemen, nella versione finale della mozione della maggioranza è stata rimossa proprio la parte che prevedeva «un forte impegno diretto a sostenere, anche con fondi, i processi di riconversione produttiva dell’industria militare». Istanza molto ben presente nelle mozioni, rigettate dall’Aula, presentate da Liberi e Uguali e Fratelli D’Italia, e centrale nella “mozione Assisi”, citata dal deputato Fassina (Leu) nel suo intervento, accolta da diversi enti locali italiani.

Un discorso che andrà ripreso senza remore perché come fa notare Sergio Bassoli, portavoce della Rete della pace e sindacalista Cgil, si mantiene in tal modo «il ricatto occupazionale  scaricando sui lavoratori le responsabilità che le istituzioni non vogliono assumere».

Si attendono, infatti, le reazioni della tedesca Rheinmetall Defence, controllante la società Rwm Italia che produce le bombe fornite alla coalizione saudita. I vertici della multinazionale teutonica hanno sempre fatto riferimento, anche in sede di assemblea dei soci, alla legalità formale dell’invio di bombe dai porti italiani assicurata dai nostri governanti.  Ed è da comprendere come tale mozione di indirizzo si potrà sviluppare prendendo in esame le forniture di sistemi d’arma a tutti i Paesi coinvolti nella coalizione, a guida saudita, impegnata nel conflitto in Yemen.

Resta il fatto che, come recita il comunicato «la società civile italiana che da anni lavora per fermare il conflitto yemenita, e quindi l’invio di armi destinate ad alimentarlo, accoglie come primo passo positivo il testo approvato con il parere favorevole del Governo». Un fatto che si collega alle scelte compiute da altri Paesi europei mentre Londra  è stata costretta a sospendere l’invio di armi solo grazie ad una recente sentenza della corte d’appello.

La guerra continua in Yemen perché «non dipende di certo solo dalle armi prodotte in Italia», precisano le associazioni, ma ora il nostro Paese può svolgere coerentemente il proprio ruolo a livello internazionale in un quadro che resta, tuttavia, di forte contraddizione.  In queste stesse ore il governo sta negando, da giorni, l’attracco alla nave umanitaria Seawatch3 con il suo carico di naufraghi raccolti in mare.

Il 10 giugno papa Francesco ha parlato del grido delle «persone in fuga ammassate sulle navi, in cerca di speranza, non sapendo quali porti potranno accoglierli, nell’Europa che però apre i porti alle imbarcazioni che devono caricare sofisticati e costosi armamenti, capaci di produrre devastazioni che non risparmiano nemmeno i bambini». Si spera, quindi, che si chiudano effettivamente, al più presto, i porti alle armi per aprirli a chi chiede di essere accolto.

Qui un articolo che riassume il percorso della questione Yemen

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons