No all’intervento militare sudamericano

Undici Paesi del Gruppo di Lima, che segue con preoccupazione la crisi del Paese caraibico, hanno rifiutato con decisione tale possibilità. Nel frattempo continua l’accoglienza dei venezuelani che emigrano

La situazione in Venezuela continua a preoccupare i governi della regione, in particolare quelli conosciuti sotto il nome di “Gruppo di Lima”, quattordici Paesi che seguono con attenzione la crisi economica, politica e istituzionale venezuelana, e che sono disposti anche ad intervenire nei modi in cui ciò possa aiutare a superarla. Tuttavia scartano decisamente l’ipotesi di un intervento militare.

Sarebbe difficile giustificare un tale intervento, nonostante le violazioni dei diritti fondamentali occorse nel Paese durante questi anni, ma non dissimili da quelle avvenute in Honduras, Nicaragua e Cuba, o con seri problemi di legittimità, come nel caso del Brasile. Per intervenire militarmente, è necessaria una situazione interna tale da meritare tra l’altro una risoluzione Onu. Pertanto, appare logico che undici dei quattordici membri del Gruppo di Lima abbiano manifestato la loro «preoccupazione e il rifiuto di qualsiasi azione o dichiarazione che supponga un intervento militare in Venezuela». Argentina, Brasile, Costa Rica, Cile, Guatemala, Honduras, Messico, Panama, Paraguay, Perù e Santa Lucia sono i firmatari della dichiarazione, alla quale non ha aderito il governo colombiano.

Il comunicato emesso durante il fine settimana, risponde alle dichiarazioni del segretario generale dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa), Luis Almagro, il quale, durante un breve contatto con la stampa in Colombia, ha affermato che – nel caso di una ipotesi di intervento militare per deporre il presidente Nicolás Maduro – «non bisogna scartare nessuna opzione».

La reazione da Caracas non si è fatta attendere e si annunciano iniziative diplomatiche nei confronti di Almagro in sede Onu e in altri ambiti internazionali. I rapporti tra il governo venezuelano e il segretario generale dell’Osa sono in rotta di collisione da tempo. Per Almagro, uruguayano e appartenente alla coalizione di centrosinistra che governa il piccolo Paese sudamericano, il regime di Maduro è responsabile della rottura dell’ordine democratico oltre ad aver praticamente neutralizzato le voci dell’opposizione, da quando l’Assemblea costituente ha scalzato il legittimo parlamento. Invece di redigere la nuova costituzione come era previsto nel referendum, funziona da legislatore ordinario. Almagro parla anche di crimini di lesa umanità. Una parola forte che, forse, dovrebbe appoggiarsi su informazioni indipendenti ed imparziali verificate.

Nonostante il difficile rapporto con Caracas, Paesi come Cile, Colombia e Perù, membri del Gruppo di Lima, non hanno posto limiti all’arrivo nel loro territorio di venezuelani che lasciano il loro Paese colpito da una durissima crisi economica e con una inflazione ormai fuori controllo. Si stima che siano più di 414 mila i venezuelani che hanno fatto ufficialmente ingresso in Perù negli ultimi 3 mesi e mezzo. Tra 800 mila e 1 milione sono entrati in Colombia, più di 147 mila sono invece entrati in Cile. Nessuno dei tre Paesi, nonostante i dissensi con Caracas sul piano politico, ha messo in discussione l’accettazione dei migranti. Più recentemente, il governo peruviano ha fatto presente che, prima di ogni cosa, si pratica la «solidarietà».

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