No a un nuovo mandato del presidente

Anche se con uno scarto minimo, gli elettori hanno affondato il progetto di modificare la costituzione per consentire la terza rielezione. Evo Morales registra la sua prima sconfitta elettorale dal 2007. Insieme al suo partito, il MAS, avrá quasi quattro anni di tempo per scovare un successore della sua gestione. Ma quella della rielezione é una tentazione solo latinoamericana?
Bolivia

La sentenza non é appellabile: i boliviani hanno detto “no” a un nuovo mandato del presidente Evo Morales. L’ampio vantaggio delle prime proiezioni si é via via ridotto a uno scarto di appena 130.000 voti. Ma se si considera che Morales nelle ultime presidenziali ha vinto col 61 per cento, la sconfitta diventa ancora più cocente, perchè dice che l’appoggio alla sua persona comincia a ridursi, come tra l’altro già ammette lo stesso presidente che intravvede il logorìo di dieci anni di Governo che registra il suo partito politico, il MAS.

 

Sei milioni di boliviani sono stati invitati a pronunciarsi sul referendum che avrebbe modificato la norma costituzionale che limita a due i mandati consecutivi, consentendo la rielezione del presidente e vicepresidente in maniera indefinita. Una proposta sorta nel seno del movimenti sociali che appoggiano la gestione di Evo Morales iniziata nel 2006. E’ la prima sconfitta elettorale in dieci anni e si verifica meno di un anno e mezzo dopo aver vinto le ultime elezioni espugnando anche tradizionali bastioni dell’opposizione. Come si spiega allora questo risultato?

 

Sebbene non ci siano dubbi che Morales sia il principale artefice di una gestione di Governo che ha aperto vie di sviluppo inedite per il Paese e un sensibile miglioramento della vita sociale, soprattutto dei settori più poveri ed indigeni, l’elettorato ha colto che il referendum é stato convocato in funzione di un problema interno sorto nel MAS: l’assenza di figure dirigenti di ricambio che possano garantire la continuità del progetto politico. Un errore politico, senz’altro, anche se per comprenderlo nel suo contesto, bisogna ricordare l’energia dedicata in questi anni per superare una opposizione che, con pochi argomenti di peso che non siano i vantaggi economici di alcune regioni, in alcuni casi ha manifestato conati scissionisti.

 

La campagna elettorale ha poi messo in luce segni di logorio evidenti. Si va da gravi episodi di corruzione, come quello della gestione del fondo per gli indigeni che ha deviato circa 30 milioni di euro, all’incendio del municipio di El Alto, la seconda città boliviana, per cancellare documenti compromettenti per l’ex sindaco del MAS, all’accusa contro il presidente di favorire gli affari di una sua ex, e quella contro il vice presidente di cui si é scoperto che non é plurilaureato, come lasciava intendere il suo curriculum personale. Lo stesso Morales ha ammesso errori nella scelta di dirigenti locali del MAS.

 

Errori gravi o incidenti di percorso? Oggi pare difficile scovare governi nei quali non si sia insinuato il vizio della corruzione. Sarebbe dunque ingiusto generalizzare il fenomeno, anche se il MAS dovrebbe mantenersi in allerta. In realtà, non pare questo il principale problema della maggioranza, quanto quello di pretendere di trasformare il proprio progetto politico in una egemonia ideologica che si impone nelle urne. Presto o tardi, l’ideologismo stanca, col rischio di lasciare nell’ ombra i progressi inediti ottenuti in questi anni e che stanno cambiando il volto di un Paese nel quale la grande maggioranza di origine indigena ha ottenuto un protagonismo negato durante decenni, asfissiata dall’indigenza nel mezzo di una dilagante corruzione. Non va dimenticato che da Paese assoggettato dai poteri economici esterni, la Bolivia si é trasformato in una economia in crescita capace di gestire le proprie risorse. Il pil procapite si é raddoppiato, gli indicatori della qualità di vita dei boliviani indicano sostanziali miglioramenti, lo Stato é più presente ed investe in salute, educazione… nello sviluppo.

 

Il caso boliviano ripropone il dibattito sulla permanenza al potere di certe figure politiche, specialmente quando sono sostenute dal successo. In Ecuador, Rafael Correa é al governo dal 2007 e concluderà la sua gestione nel 2017, dopo dieci anni; i Kirchner hanno governato in Argentina per 12 anni; in Venezuela solo la morte ha messo fine al mandato di Hugo Chávez… In alcuni casi si tratta di decisioni discutibili o, direttamente, di errori anche quando le urne hanno premiato tale scelta.

 

Ma é questo un vizio tipicamente latinoamericano o di repubbliche delle banane? Pare sia questo il suggerimento di certa stampa internazionale affezionata ai giudizi frettolosi ed a leggere in base a schemi preconfezionati quanto accade al di fuori del mondo industrializzato. Come se la tedesca Angela Merkel non fosse al potere da dieci anni, come se il britannico Toni Blair non avesse governato per una decade e non lo avesse fatto per undici anni la sua compatriota Margaret Thatcher; lo spagnolo Felipe González é stato capo di Governo per 14 anni, il francese Jaques Chirac per 12, senza dimenticare l’inamovibilità dal Cremilino di Vladimir Putin. Negli Stati Uniti, Clinton, Bush (figlio) e Barack Obama hanno ottenuto ciascuno due mandati.

Analizzare in base a pregiudizi certi fenomeni politici, dunque, non pare sia il miglior modo di comprenderli e di spiegarli.   

 

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