Nest, il nido sotto il ponte

Tempo natalizio, tempo di migranti. Tra i migranti più diseredati che abbia mai incontrato, quelli indù trovati sotto un cavalcavia a Karachi, in Pakistan. Migranti a casa loro: persero le loro dimore e si ripararono sotto un’autostrada. Era il 2005

Avevo visto i cadaveri ripuliti da Edhi Abdul Sattar, avevo percorso i viali dell’abiezione e della follia di Karachi, avevo conosciuto la povertà delle periferie polverose del Nord della città che nessuno sa contare. Ma quanto ho visto sotto il ponte di Baloch Gith o lungo la corrispondente ferrovia è qualcosa di impensabile in una città grande e civile. È indù la gente che ho visto, residui del grande esodo susseguente alla creazione del Pakistan, nel 1947: gli indù avevano in mano il commercio a Pindi, a Lahore, a Faiselabad. Dovettero fare armi e bagagli, e lasciare ai tanto odiati musulmani (odiati solo negli ultimi anni, sotto le spinte etniche e politiche, più che religiose) le loro belle case nei viali importanti della città, decorati con balconi lignei di alta fattura. Ma anche tra gli indù c’erano i poveri tra i più poveri, che non potevano mettere insieme nemmeno i soldi necessari per scappare a bordo di un autobus o di un camion. Si nascosero sotto i ponti e rimasero a Karachi. E sotto i ponti ci sono rimasti, nel centro geografico della città.

È con questa gente che circa vent’anni fa la moglie del console italiano volle impegnarsi per colmare una forte esigenza di giustizia e di carità che l’animava. Con l’aiuto dei sacerdoti dell’attiguo seminario maggiore, mise su un progetto di promozione umana per i bambini che vivevano in quelle tende, macilenti, preda di ogni malattia del corpo e dell’anima, oltre che di ogni delinquenza. Trovò i fondi, seguì l’iniziativa impegnandosi in prima persona. Finché dovette seguire il marito lontano da Karachi, e i problemi cominciarono ad accentuarsi. «C’erano i topi nel cassetti – mi dice Marines Cardoso, focolarina brasiliana in Pakistan –, e il piccolo dispensario era stato chiuso. Nessuno si occupava più di nulla, tranne una maestra che continuava a dare qualche lezione ai bambini, che ci introdusse nella conoscenza di quelle famiglie. E per mesi e mesi l’unica cosa che facevamo io e Nabila, un’amica pakistana dei Focolari, era quella di andare a visitare queste famiglie a casa loro. Casa, si fa per dire…».

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La gente sotto il ponte e quella lungo la fattoria mette assieme il pane (quasi) quotidiano vendendo fiori ai semafori, giusto il necessario per sopravvivere senza grandi speranze di emanciparsi, tanto più che la costruzione di un nuovo viadotto sul canale e la protesta di alcuni condomini al di sopra della ferrovia hanno ridotto drasticamente lo spazio delle abitazioni di questo gruppo indù. «L’unica speranza – riprende Marines Cardoso, nel suo ufficio pulitissimo anche se estremamente modesto, al centro sociale avviato lì accanto – sta nei bambini, nella loro formazione umana e nella loro educazione scolastica. Se i figli delle 300 famiglie che seguiamo, riuscissero a ricevere un’educazione adeguata, ecco che nel tempo sarebbero capaci di risollevare le sorti della loro comunità. Ma debbono essere numerosi, perché chi potrebbe si rifiuta di abbandonare i suoi per sistemarsi in un appartamento decente».

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Il centro animato dalla piccola ma dinamicissima brasiliana svolge ormai attività assai diversa. C’è innanzitutto il dispensario medico, che fa da tramite con le istituzioni sanitarie. Ogni giorno c’è la fila, tra 40 e 50 persone, soprattutto donne e bambini, perché purtroppo gli uomini si presentano solo quando il loro caso è grave, se non addirittura irrimediabile. C’è poi la scuola, che per il momento coinvolge una settantina di bambini e bambine dai 3 ai 16 anni. Per le ragazze più grandi è stato avviato un corso per parrucchiere e di trucco.

Naturalmente al Nest non mancano le distribuzioni di cibo ai genitori ma anche ai bambini, viene pure distribuito del vestiario, vengono organizzate gite e visite culturali – impressionante il silenzio dei bambini, solitamente assai vivaci, nelle visite al museo nazionale –, sport, incontri coi genitori… «Si notano miglioramenti – aggiunge Marina Cardoso – nei bambini che sono ormai giunti alla sesta classe, anche se il lavoro è lunghissimo… Recentemente una bambina è stata da noi portata all’orfanatrofio delle suore di Madre Teresa di Calcutta per una grave malnutrizione e per l’incapacità dei suoi genitori naturali di badare alla piccola. Così hanno chiesto che fosse adottata da qualcuno che potesse curarla bene. Ora si sta riprendendo».

Un aiuto notevole viene dalle adozioni a distanza della onlus Naaa – una ventina quelle accese – che servono a sostenere la scuola. Si può così provvedere ad offrire alle famiglie dei tendoni di plastica durante la stagione dei monsoni, e aiutarle a combattere contro i mali peggiori che minano la loro integrità: droga a buon mercato, alcol dozzinale e pericolosissimo, delinquenza spicciola per guadagnare facilmente qualcosa. Per questo stiamo avviando attività per i più grandi, un avviamento professionale che possa distoglierli dalla cattiva strada. E se qualcuno ha bisogno di qualcosa, ce lo chiede, e noi sempre cerchiamo di trovare il necessario. Sempre, tuttavia, insieme a loro, coinvolgendoli, perché è necessario che si responsabilizzino e siano considerati normali cittadini, come tutti. Cerchiamo comunque di non dar loro soldi, ma servizi e materiali, perché non si sa mai come vadano a finire i contanti. Si sta cercando, insomma, di dar a queste trecento famiglie una certa dignità, cercando ad esempio di evitare che i bambini facciano l’elemosina ai semafori, cosa che li rende poco degni, e quindi più facili preda di modelli di vita delinquenziale, o se va bene parassitaria. Come ci riusciamo? Semplicemente mettendoli in condizione di “denunciarsi” a vicenda: ti ho visto mendicare, lo sai che non va bene… E si va avanti. Negli anni scorsi avevamo sempre procurato le cartelle per i bambini, all’inizio dell’anno scolastico. Quest’anno, invece, i bambini sono giunti a scuola tutti o quasi con le loro cartelline nuove – povere ma belline –, che i genitori avevano comprato loro». È la strada dei piccoli passi, delle piccole attenzioni che diventano piccoli progressi umani, in un costante tentativo di offrire loro un calore familiare.

Questo è quanto accade al Nest. Il nido.

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