Nei territori del Mistero

Sedici anni fa si spegneva in Messico Carlo Còccioli, scrittore e intellettuale livornese fuori da qualunque schema. Un cercatore di verità

Stato messicano di Puebla. Situata a 1.881 metri sul livello del mare, ai piedi del Cerro de San Miguel, con magnifica visuale della vallata sottostante e delle cime innevate dei vulcani Popocatepetl e l’Iztaccíhuatl, la cittadina di Atlixco è famosa soprattutto per la produzione di piante ornamentali, fiori e alberi da frutto, nonché per il suo festival El Huey Atlixcayotl – il più importante evento artistico-musicale dell’anno – che si ispira ad una antica celebrazione in onore del dio Quetzalcoatl. Del suo passato coloniale (fu fondata nel 1579) Atlixco conserva numerose chiese ed edifici civili nel caratteristico stile barocco indigeno. Ma non è tanto di turismo che voglio parlare. L’accenno alla “città dei fiori” è per ricordare che nel suo cimitero ebraico riposa dal 2003 uno scrittore tanto famoso nel Messico e in tutta l’America Latina (oltre che in Francia) quanto poco noto nella sua patria d’origine: Carlo Còccioli.

A lui, il 22 marzo di quest’anno, nel 16° anniversario della sua scomparsa, il comune di Livorno, dov’era nato nel 1920, ha conferito la “Livornina d’oro”, massima onorificenza della città, con la seguente motivazione: «persona straordinaria, che dei valori di uguaglianza, libertà e democrazia, ha fatto pratica costante della sua vita».

Chi era questo italiano, autore di una cinquantina di titoli tradotti in una quindicina di lingue e venduti in milioni di copie? Di famiglia ebraica, Còccioli trascorre l’infanzia e l’adolescenza in Libia, seguendo il padre ufficiale al servizio del regno d’Italia. Rientra in Italia per completare gli studi e, richiamato alle armi, dopo l’8 settembre 1943 svolge attività partigiana sull’Appennino tosco-emiliano. Catturato dai tedeschi, evade dalla prigione di Bologna e, a guerra conclusa, viene insignito di medaglia d’argento al valore militare per i fatti della Resistenza. Nell’immediato dopoguerra si laurea in Lingue e letterature orientali a Napoli. Le prime esperienze letterarie lo portano a Parigi dove pubblica nel 1950 Il cielo e la terra, romanzo pervaso da una forte tensione religiosa, come del resto sarà dei successivi.

Sulla scia dell’enorme successo di quest’opera, subito tradotta nelle principali lingue, due anni dopo Còccioli s’azzarda a far uscire in Italia Fabrizio Lupo, un testo che affronta il delicato tema del rapporto tra omosessualità e fede. Apriti cielo! A causa dello scandalo suscitato da questo romanzo, ma insofferente anche della casta letteraria dominata da Moravia, il giovane autore sceglie il volontario “esilio” prima in Canada, poi in Messico, terra dove si sente a suo agio, respirandovi «un clima di forte spiritualità» a contatto con gente semplice e povera, lontano dall’Occidente evoluto, ma prosaico e materialista. Nella sua patria d’adozione rimarrà fino alla morte, dividendosi tra la capitale (da lui definita “orribile”) e la cittadina di Cuernavaca, dove la cultura azteca e quella coloniale spagnola hanno lasciato tracce significative, scrivendovi le sue opere più importanti: da Manuel il messicano a L’erede di Montezuma, da Requiem per un cane (dedicato all’amato barboncino Fiorello) a Davide, da La casa di Tacubaya alla sofferta autobiografia Tutta la verità. Lo stile? Potente, immaginifico, infuocato come un flusso di lava.

Alla stesura di romanzi scritti per lo più in francese e spagnolo (da lui stesso poi tradotti in italiano) aggiunge dal 1960 in poi l’attività giornalistica, viaggiando molto come inviato speciale di alcuni periodici e quotidiani messicani e anche italiani. Suoi argomenti preferiti: la condizione umana contemporanea, la disumanizzazione della vita nei grandi insediamenti urbani, il dramma della dipendenza, la vitalità soffocata di culture e sub-culture “altre”, il dovere della compassione e la difesa degli esseri più deboli, siano uomini o animali, dei reietti e violentati della vita (come gli Alcolisti Anonimi, che contribuisce a far conoscere in Italia col suo Uomini in fuga). Del resto lui pure si sente emarginato, isolato a causa della sua omosessualità. Abbandonato dagli uomini, ma non da Dio (parole sue), si fa cercatore appassionato dell’Assoluto in tutte le forme religiose, zigzagando tra cristianesimo, ebraismo, islam, induismo e infine buddhismo. Le mitologie e la saggezza di Oriente ed Occidente, le ricchezze del monoteismo e del politeismo sono da lui chiamate in causa nel tentativo accorato di penetrare nei territori del Mistero. «Dio ha molti nomi – afferma in un’occasione – e io li scrivo tutti». Ciò nonostante, una delle sue ultime dichiarazioni sarà: «Il cristianesimo fa parte di me, della mia essenza. Gli rifiuto soltanto di voler obbligarci a credere che possiede il monopolio della conoscenza di Dio».

Saltuari e sempre brevi i suoi ritorni nella patria d’origine, lui che ama Livorno e il suo mare. Mai però otterrà il riconoscimento dell’Italia letteraria per il suo essersene autoescluso e per il successo riscosso all’estero. Da noi, infatti, i suoi romanzi vengono accolti con freddezza oppure stroncati. Puntualmente. Fa eccezione Davide, forse il suo capolavoro, premio Selezione Campiello 1976. Quella del re biblico diventa, nella trasfigurazione artistica dell’autore, una grande storia di amore e di peccato, di obbedienza e di desiderio, di vicinanza e lontananza dal divino: una meditazione sul senso dell’esistenza e su Dio.

Coltissimo, divoratore di libri, rigoroso con sé stesso e costantemente fedele alla sua ispirazione, in tutta la sua produzione Còccioli continua a porsi le domande fondamentali della vita: quelle sul bene e sul male, sul dolore innocente, sulla morte e il destino finale dell’uomo (il suo problema di sempre). E quante le definizioni date di lui! Scrittore inquieto, tormentato, impopolare, ribelle, anticonformista, scomodo, anomalo, alieno, inclassificabile in una scuola e in uno stile, provocatorio (nell’estate bollente del 2001, durante il G8 di Genova, non entrerà in polemica col Vaticano, invitandolo a vendere i propri tesori e ridistribuire il ricavato ai poveri, perché «una Chiesa ricca non è la Chiesa di Dio»?). Uno a suo modo geniale, che suscita il consenso o il rigetto e, comunque, non lascia indifferenti. In privato, un uomo semplice.

Oggi i suoi libri che, rifiutati da case editrici e tradotti da altre, sono diventati best seller all’estero, sarebbero difficilmente reperibili sul mercato italiano se non fossero stati ripubblicati da “Piccolo karma”, una piccola editrice di Milano che si nomina dal titolo di un suo libro del 1987, a lui tutta dedicata e diretta dal nipote Marco, suo erede spirituale.

 

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