Monti e Fornero non avevano poi tanto torto

Il parere di un economista dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato il blocco delle perequazioni pensionistiche imposto con la riforma delle pensioni decisa dal governo dei “professori”. I beneficiari della sentenza sono degli anziani che godono in gran parte di un reddito relativamente alto, mentre quelli che pagano sono chiamati i giovani lavoratori
Monti e Fonero

Tra le altre modifiche che apportò ai regimi pensionistici, la legge Monti-Fornero del 2011 congelò il meccanismo di adeguamento delle pensioni all’inflazione per tutti coloro che percepivano almeno tre volte il minimo INPS (pari a circa mille e 400 euro lordi al mese). La cosa è senz’altro discutibile: per alleggerire il carico gravante sul sistema previdenziale non si dichiarava apertamente di voler tagliare le pensioni medie e alte, ma ci si limitava a lasciarle invariate, giocando sul fatto che l’aumento dei prezzi le avrebbe svalutate un po’ all’anno. Ora una sentenza della Corte costituzionale impone di riagganciare quelle pensioni all’andamento dei prezzi e di pagare pure gli arretrati. “E così giustizia è fatta!” – in tanti si sono affrettati a dichiarare, aggiungendo: “E che il governo non cerchi, con qualche escamotage legislativo, di sottrarsi al dovere di restituire il maltolto!” 

Ma in realtà le cose non stanno così. Al contrario, è proprio bocciando il provvedimento Monti-Fornero che si crea l’ingiustizia più grossa.

Quest’affermazione, mi rendo conto, avrà un suono amaro per i pensionati coinvolti, molti dei quali non vivono certo nel lusso. Tuttavia, mi sembra che ci siano almeno due solide ragioni che la giustificano. La prima è che le regole di calcolo che si applicano agli attuali percettori di pensioni, pur ripetutamente limate e riformate, sono in media ancora troppo generose: il metodo retributivo, che si applica ancora alla gran parte delle pensioni oggi corrisposte, concede ai pensionati circa il 25 per cento in più di quanto spetterebbe loro sulla base dei contributi versati. Quindi, salvo eccezioni, la sentenza della Corte costituzionale ha l’effetto non di “restituire il maltolto”, ma di “ripristinare un “regalo”.

La seconda ragione è che i beneficiari sono degli anziani che godono in gran parte di un reddito relativamente alto, mentre quelli che pagano – con contributi previdenziali pesantissimi, e con la disoccupazione che ne consegue – sono chiamati i giovani lavoratori, che in gran parte guadagnano di meno.

Riassumendo, il blocco dell’indicizzazione delle pensioni all’inflazione non era una soluzione ideale, perché si tratta di un meccanismo indiretto e poco prevedibile, perché tra i pensionati colpiti ce n’è una minoranza che la pensione se l’è interamente pagata con i contributi, e poi perché la soglia era troppo bassa.  D’altra parte, continuare a caricare pesi sulle spalle di giovani malpagati per favorire degli anziani che in media economicamente stanno meglio di loro è ancora più ingiusto. Una soluzione preferibile dal punto di vista dell’equità sarebbe di riesaminare tutte le storie pensionistiche individuali, salvaguardando naturalmente le pensioni basse. Ma per realizzarla si richiederebbero calcoli laboriosissimi, che tra l’altro darebbero luogo ad un contenzioso interminabile. Speriamo comunque che si trovi prima possibile il percorso giuridico e legislativo per muoversi in questa direzione.

Che fare allora, nel frattempo? Credo che la decisione più opportuna da parte del governo sia di ripristinare in qualche forma il provvedimento di blocco dell’indicizzazione per il biennio 2012-2013, giustificandolo meglio (questa una delle obiezioni della Corte) e alzando quella soglia dei mille 400 euro lordi (anch’essa criticata dalla Corte): come a dire che ad essere risarciti sarebbero solo, ad esempio, i pensionati tra i mille e 400 e i mille e 900 euro mensili lordi. 

Alla fin fine, il problema è che la coperta delle finanze pubbliche è troppo corta. Per questo penso che si debba approfittare dell’occasione offerta da questo “incidente istituzionale” tra Governo e Corte costituzionale per ritrovare la spinta politica a tagliare i privilegi più macroscopici (a partire da quelli di eletti e dipendenti del Parlamento e di certe Regioni), spinta che ultimamente si è alquanto attenuata: una profonda revisione delle troppe elargizioni ingiustificate che ancora restano potrebbe essere uno dei rari frutti positivi della crisi in corso.

               

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