Mission. Il mondo che il mondo non vuole vedere

È andata in onda la prima puntata del nuovo e discusso programma di Rai Uno. Un docu-reality in cui alcuni vip vivono per quindici gorni in mezzo ai profughi di Paesi dimenticati. Realizzato in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e un’organizzazione umanitaria indipendente
Mission. Il mondo che il mondo non vuole vedere

Dopo tante polemiche e una petizione contro, firmata da più di 100 mila italiani, è andata in onda ieri sera la prima puntata del discusso docu-reality di Rai Uno Mission – Il mondo che il mondo non vuole vedere, realizzato in collaborazione con l’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e Intersos, un’organizzazione umanitaria indipendente.

Il programma, nato con lo scopo di accendere i riflettori mediatici su alcune realtà estranee al mondo occidentale e per questo dimenticate da tutti, prevede che alcuni vip nostrani vivano, per 15 giorni, in mezzo ai profughi e ai rifugiati di Paesi come la Giordania, il Mali, il Congo, l’Ecuador e il Sud Sudan.

È difficile inquadrare il programma in un genere televisivo specifico: lo studio stesso, splendidamente realizzato, è a metà tra L’Isola dei famosi e Servizio Pubblico, tra reality, quindi, e programma impegnato, mentre la scelta dei conduttori rimanda sia al popolare (Michele Cucuzza), sia al taglio più giornalistico (Rula Jebreal).

Con le facce contrite e in mezzo a un’atmosfera un po’ cupa e plumbea, i conduttori accolgono, senza sorriso, gli ospiti presenti: i protagonisti delle prime due missioni in Giordania e Mali, ossia il cantante Albano con le figlie Cristel e Romina Jr., l’attore Francesco Pannofino e la giornalista Candida Morvillo, e due rappresentanti rispettivamente dell’Unhcr e di Intersos.

Le interviste ai vip presenti in studio, che raccontano la loro esperienza, ripercorrendo le emozioni che hanno provato nel periodo in cui hanno preso parte alla “missione”, s’intervallano ai racconti filmati del loro reportage, ben confezionati da un punto di vista delle immagini e del montaggio e collegati dalla voce narrante rispettivamente di Albano e Pannofino.

Infine, dopo l’ospitata di una squadra di calcio africana di Rosarno e un collegamento video con il leader dei Pink Floyd Roger Waters, che invita i Paesi Occidentali a vendere meno armi alle popolazioni povere, Mission si chiude sulle note di “Imagine” di John Lennon, suonata al pianoforte e cantata dal dimenticato Marco Masini.

Del programma è da apprezzare la realizzazione dei documentari di viaggio, con immagini di repertorio e interviste a persone sul campo, pur con tutti i limiti e le retoriche del caso. Ci saremmo potuti risparmiare, per esempio, le lezioni di vita impartite da Cristel Carrisi, che invita il pubblico a non sprecare la propria esistenza e dichiara a sorpresa che presto ritornerà in Giordania per uno stage, e le inquadrature insistite sul volto commosso e dalla voce incrinata dal pianto di Candida Morvillo. I toni per fortuna non sono quelli urlati dei reality, e Mission non si presenta come un gioco.

Certo, in molti polemizzano sul fatto che si sarebbero potuti coinvolgere dei giornalisti veri per realizzare i documentari, invece di vip che non si sono mai “sporcati le mani” e che probabilmente hanno aderito al progetto in cerca di maggiore visibilità, ma risulta da subito evidente che tale scelta sia stata dettata dal compromesso: se il prodotto televisivo fosse stato confezionato come una serie di documentari impegnati, in quanti l’avrebbero guardato e quanti ne avrebbero parlato? A quanti sarebbe arrivato il presunto messaggio?

In realtà, nonostante la scelta “popolare”, il programma ha ottenuto solo l’8,16 percento di share. Questo dato, senz’altro deludente per una prima serata di Rai Uno, è da leggere forse alla luce del fatto che il pubblico non si lascia ingannare e avverte come ipocrita ogni incongruenza: non è credibile andare in televisione e raccontare commossi la propria esperienza di vita se, al di là del rimborso per le spese di viaggio, vitto e alloggio, si è percepito un più o meno lauto compenso per la propria partecipazione sul campo. Sarebbe uno schiaffo morale per tutti i volontari che dedicano ogni giorno la propria vita agli altri, gratuitamente. C’è da sperare quindi che i compensi vip siano devoluti interamente in beneficienza ai campi profughi visitati e sarebbe auspicabile che questa dichiarazione d’intenti fosse fatta pubblicamente. Solo così Mission può sperare di ottenere credibilità.

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