Migranti, Grecia e Bergoglio

Di ritorno da Atene. La visita ai campi profughi del Pireo, gli interrogativi sulle migrazioni verso la Grecia e l’Europa. Un convegno di Città Nuova e NetOne
Atene Pireo © Michele Zanzucchi 2016

Mentre da Idomeni, al confine con la FYROM (i greci chiamano così la Macedonia, perché sostegono non senza ragione che la Macedonia è una regione greca, più a Est) giungono inquietanti notizie sugli scontri tra la polizia dello Stato balcanico e un gruppo di profughi siriani che cercava di scavalcare la barriera. Sarebbero state usate pallottole di gomma. Giungono anche gli ultimi dati sugli sbarchi in Grecia e Italia: sarebbero calati dell’80 per cento quelli sulle isole greche, ma non ci sono dati plausibili sugli arrivi in Turchia. Effetto (solo temporaneo con ogni probabilità) dell’accordo molto discusso della Ue con Ankara. In Italia, invece, si registra un aumento del 53% degli sbarchi in marzo e aprile rispetto al corrispondente periodo del 2015.

 

Ad Atene ho visitato i tre campi profughi installati al porto del Pireo. Luoghi in fondo puliti e curati dall’insospettabile volontariato ellenico (che sta nascendo proprio in queste settimane sull’onda dell’emergenza), anche se ci sono solo wc chimici. Peggio, molto peggio, si vive nel fango di Idomeni, o anche a Piazza Victoria, dove sono riuniti dei profughi afghani che paiono doppiamente profughi, perché esclusi da ogni possibilità di integrazione in Europa dopo l’accordo coi turchi, un accordo tra l’altro di molto difficile applicazione e non solo di scarsissimo rispetto dei diritti umani.

 

Si prepara nel frattempo la visita del papa, del patriarca Bartolomeo e del metropolitia di Atene Ieronimos all’isola di Lesbos (insieme, è una grande novità ecumenica), alla presenza del presidente greco. Un segnale forte all’Europa e al Medio Oriente della Chiesa cattolica e di quella ortodossa, unite dall’attenzione ai migranti. Il flusso è diminuito, ma il gesto è di quelli che lasceranno il segno.

 

Ad Atene, con le Città Nuova europee e con NetOne, rete internazionale di comunicatori, abbiamo organizzato un convegno su “giornalisti e migrazioni” (la prima tappa era stata in gennaio a Budapest, la prossima sarà in Polonia a giugno), alla presenza di esperti come il prof. Michael Scoullos, di operatori umanitari (la Caritas cattolica rappresentata da Maristella Tsamatropoulou, e l’organizzazione caritativa e solidaristica ortodossa Apostoli, con Vasileios Meichanetsidis), di pastori (in particolare i gesuiti che ci accoglievano, con il padre Maurice Joyeux in testa), di un imam pakistano (Atta-Ul Naseer), di un amministratore apostolico armeno (Hovsep Bezazian), e soprattutto di un gruppetto di giornalisti greci (tra cui Vassilis Nedos, Dafni Scaglioni e Mirto Manou), ma anche italiani, tedeschi, sloveni e ungheresi, con una rappresentanza colombiana.

 

Un piccolo segno certamente (ne riparleremo): le risposte debbono essere interdisciplinari, internazionali e interconfessionali. Ne è emersa una chiara immagine della “doppia crisi” che attanaglia la Grecia: l’umano deve essere preservato, l’economico va messo in secondo piano. Ma la situazione non può andare avanti a lungo senza provvedimenti europei, la Grecia è troppo provata per resistere da sola. Lo sguardo su fenomeni così gravi deve essere globale, non può più essere solo particolare. Continuando per il momento a dar voce ai senza voce, anche ai 4 mila morti dell’Egeo.

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