I migranti alle porte dell’Europa

I vertici Ue schierano Frontex a sostegno dello scudo di difesa greco, mentre Putin ed Erdogan decidono sulla questione siriana. Appello del Tavolo asilo per salvare i migranti. Il nodo dell’accordo Ue con la Turchia
AP Photo/Emrah Gurel

Il “Tavolo nazionale Asilo” chiede alle autorità dell’Unione europea «di salvare le persone che in questi giorni (di inizio marzo 2020) a Lesbo e al confine tra Grecia e Turchia, subiscono trattamenti inumani, rischiando la loro vita e in alcuni casi purtroppo perdendola».

AP Photo/Alexandros Michailidis
AP Photo/Alexandros Michailidis

L’appello arriva da un pezzo di società italiana che vive come tutti, con la crisi del coronavirus, una delle fasi più difficili della sua storia recente. Il Paese si è finora diviso sulla temuta invasione dei migranti. Ora questa massa di umanità in movimento si è materializzata alle porte della vicina Grecia, in seguito alla strategia della Turchia di Erdogan che, secondo diversi esperti, vuole premere sull’Europa per avere il sostegno nella guerra in corso nella regione di Idlib contro la Siria di Assad, sostenuta dalla Russia di Putin.

Un gioco pericoloso

Si tratta, come dice il generale Vincenzo Camporini, dell’Istituto affari internazionali, di un “gioco rischioso e pericoloso” mentre la Nato «sta tollerando in modo francamente inaccettabile il comportamento di chi (Erdogan, ndr) sta occupando, militarmente e in modo ostile, territori di un altro Stato sovrano, la Siria, mentre al contempo giustamente stigmatizza l’analogo comportamento russo in Crimea». Non è neanche commentabile in questo caso, secondo Camporini, la richiesta della Turchia di invocare l’articolo 52 del trattato Nato che prevede la difesa collettiva e quindi il sostegno degli altri Paesi dell’Alleanza atlantica.

In mezzo a questo scacchiere geopolitico si trovano intrappolati migliaia di migranti schiacciati sul confine terrestre e marittimo tra Grecia e Turchia. Le associazioni del tavolo Asilo, tra le quali Acli e Caritas, chiedono «un piano di ricollocazione straordinario e urgente dei richiedenti asilo».

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis (foto Ap)
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis (foto Ap)

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, recandosi in visita su tale linea di confine, ha espresso compassione per i migranti ma ha dichiarato che la frontiera ellenica è quella della stessa Europa. La von der Leyen ha promesso l’intervento del sistema Frontex tramite «una nave off-shore, 6 navi di pattuglia lungo le coste, 2 elicotteri, un aeromobile, 3 veicoli di termovisione, 100 guardie di frontiera (oltre le 530 guardie già in servizio)».

Armi di migrazioni di massa

Assieme alla von der Leyen c’erano anche i presidenti del Consiglio e del Parlamento europeo, Charles Michel e David Sassoli. Quest’ultimo ha confermato, a Repubblica, l’intenzione di affiancare a Frontex un contributo straordinario di 700 milioni di euro, precisando che si tratta di «finanziamenti condizionati alla messa in opera di corridoi umanitari per una redistribuzione dei circa 4 mila minori non accompagnati e di altre categorie vulnerabili». Sempre Sassoli ha poi ribadito la posizione delle istituzioni europee che restano contrarie alla sospensione dell’esame delle domande dei richiedenti asilo, mentre non ha ritenuto di esprimersi sul merito dell’accordo concluso nel 2016 dalla Ue per delocalizzare in Turchia milioni di rifugiati siriani dietro finanziamento di 6 miliardi di euro. Il presidente del Parlamento europeo ha precisato che «la Turchia non è un nemico» e che ogni ulteriore finanziamento sarà destinato esclusivamente «alle agenzie umanitarie dell’Onu e delle ong per gestire i campi profughi, la sanità e l’istruzione dei bambini».

AP Photo/Alexandros Michailidis
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Le associazioni del Tavolo asilo sono convinte nel giudicare «sbagliato e controproducente» l’accordo concluso con il governo turco nel 2016 da parte di tutti gli Stati dell’Ue per «scaricare sulla Turchia l’onere dell’accoglienza dei profughi in gran parte provenienti da Siria, Afghanistan e Iraq». In tal modo si sarebbe consegnato al presidente turco una potente arma di ricatto. Di “armi di migrazione di massa” parla spesso Giandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, citando il libro del 2010 di Kelly Greenhill, politologa statunitense docente alla Harvard Kennedy School of Government. È ricorrente l’uso di tale strumento di pressione da parte di Erdogan che, secondo Gaiani, «non ci sta a pagare il prezzo della sconfitta, in termini di costi finanziari e di profughi» di una guerra in Siria guidata dalla Turchia «per conto dell’Occidente e delle monarchie del Golfo» che ora si stanno defilando.

I poveri cristi

Se non vuole scomparire, l’Ue, secondo il direttore di Analisi Difesa, deve sostenere la Grecia tramite «l’offerta di reparti e mezzi terrestri e navali di polizia per aiutare Atene a difendere i confini d’Europa dal fiume Evros alle isole dell’Egeo». Singoli Paesi come «Ungheria, Croazia, Serbia e Slovenia» si stanno organizzando autonomamente per impedire il passaggio di migranti definiti “irregolari” o “clandestini”. In tale visione la vera minaccia della tenuta del continente non è il venir meno dei principi giuridici che lo fondano, come affermano le associazioni del tavolo asilo, ma il cedimento allo stereotipo dei “poveri migranti” che non reggerebbe più perché «dietro al consueto “scudo” di donne e bambini, migliaia di giovani lanciano pietre e molotov contro i poliziotti greci che difendono il diritto di Atene di impedire l’accesso illegale al suo territorio».

Marina Corradi, su Avvenire, invita ad osservare «le foto dai campi settentrionali turchi: guardate quelle tende nel fango, i falò per scaldarsi, le vedove circondate dai bambini – che già cominciano a morire per il freddo delle notti all’aperto. Invasori, questa crociata di miserabili spinti come pedine dal governo turco “contro” le frontiere d’Europa?».

Siamo invece davanti alla grave crisi di «un’Europa nata sulle ceneri dell’ultima guerra con tanti nobili ideali ma che concentra le sue stanche energie nel respingere una moltitudine di poveri cristi, anziché almeno nel soccorrerli, e nel cercare una soluzione politica a questo drammatico esodo».

Domande aperte

Il vero nodo che appare irrisolvibile è proprio la soluzione politica che sta all’origine della attuale tragedia. Si può disdettare l’accordo con la Turchia, sottraendosi al suo ricatto? Quali ragioni ci hanno spinto ad assecondare la guerra in Siria? E come possiamo agire per interrompere lo strazio della guerra in questo Paese? Dobbiamo lasciare che a decidere siano direttamente Putin ed Erdogan come sembrano aver fatto nel vertice di Mosca del 5 marzo?

AP Photo/Darko Bandic
AP Photo/Darko Bandic

Secondo l’Ispi, Istituto italiano per gli studi internazionali, «se gli accordi stretti con la Turchia nel 2016 avevano un merito, era quello di fornire all’Europa e agli europei un po’ di tempo per pensare a delle soluzioni di lungo periodo. Non possiamo dire di averlo saputo sfruttare. Le conseguenze ci si rivolteranno contro».

È in tale contesto che va considerata la delicatissima fase che si trova a vivere, in un ruolo chiave dell’Ue, l’italiano David Sassoli che, come sappiamo, si ispira a Giorgio La Pira. Un punto di riferimento così elevato non può essere agitato come motivo di condanna ma un criterio per capire l’estrema difficoltà di fare politica in quella che appare sempre di più, come diceva il sindaco di Firenze, il «crinale apocalittico della storia».

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