Messina, Libera e la primavera delle coscienze

Un racconto in prima persona degli intensi giorni vissuti nella città dello Stretto in memoria delle vittime innocenti di mafia. I tanti segnali di risveglio. Il contributo dei Giovani per un mondo unito con l’impegno per la pace nella giustizia
Gmu Messina

Sole caldo e forte di primavera. Aria fresca carica del profumo del mare e dell’impegno. Così Messina ha stupito sé stessa per la grande partecipazione popolare alla manifestazione nazionale di Libera del 21 marzo. Previste in 20 mila, sono arrivate oltre 30 mila persone con una straordinaria presenza di giovani. Perché proprio a Messina? «Perché – come ha detto don Luigi Ciotti – pensiamo che il nostro Paese abbia bisogno di ponti che allarghino le coscienze e veicolino le speranze, non di certe "grandi opere", ma dell'opera quotidiana di cittadini responsabili, capaci di tradurre la domanda di cambiamento in forza di cambiamento».

 

La città sullo Stretto è segnata dalla presenza mafiosa stratificata nei decenni: le organizzazioni criminali hanno saputo sfruttare la vocazione di collegamento di questo territorio inquinando economia e politica, distruggendo il paesaggio. Da qui tanti giovani fuggono, eppure è possibile una storia diversa che può spiegarsi con l’identità di Messina fortemente legata al mare. Narra una famosa leggenda che l’isola di Sicilia sarebbe retta sui fondali marini da tre enormi colonne. Un brutto giorno la colonna posta sotto la punta di Messina diede segni di cedimento, per cui un re dell’epoca, non sapendo cosa fare, invocò l’aiuto di Colapesce, un umile pescatore che si tuffò in mare sostituendosi alla colonna incrinata: si sacrificò per reggere il peso di una Sicilia che stava sprofondando negli abissi. Così Messina, oggi, è ricca di tanti giovani e cittadini che reggono il peso e la città non sprofonda. Donne e uomini che hanno voglia di restare nella propria terra per migliorarla, che non si rassegnano alla violenza mafiosa, alla corruzione e agli abusi di potere. Nella marcia di primavera del 2016 si è respirato il risveglio delle coscienze.

 

Lo scandalo della diseguaglianza e la pace

Questa città ha alzato la testa a partire dalla singolare esperienza che ha portato nel 2013 all’elezione inaspettata a sindaco di Renato Accorinti, espressione della lista “Cambiamo Messina dal basso”, alternativa ai poteri forti e ai partiti che si sono alternati al governo di un comune  di circa 240 mila abitanti, lasciando grandi problemi e forti debiti.

 

Accorinti ha partecipato il 19 marzo, presso il Palacultura, alla proposta di “inchiesta aperta” curata dai Giovani per un mondo unito Italia, assieme a Città Nuova, su “Il realismo della pace e l’utopia folle della guerra”. Uno degli ultimi “cento passi” compiuti per arrivare all’evento del 21 marzo. Oltre al sindaco, sono intervenuti Davide Pati, vicepresidente di Libera, Massimo Toschi, consigliere per la pace del presidente della Regione Toscana, Antonio Mazzeo, giornalista e saggista, e Carlo Cefaloni, redattore di Città Nuova, dando vita ad un dialogo aperto sullo scandalo della diseguaglianza al tempo della corsa al riarmo. Un tema approfondito come declinazione della cultura della fraternità e che si collega alla proposta della campagna di Miseria ladra e Sbilanciamoci di «derogare al patto di stabilità per le spese relative ai servizi sociali, fondamentali per il contrasto alle diseguaglianze e all'esclusione sociale di cui il terrorismo e le mafie si nutrono per diffondere i loro messaggi di odio».

 

 

Il dolore condiviso e il riscatto

Messina è stata, inoltre, la “capitale della legalità” anche il 20 marzo, quando i parenti delle vittime innocenti delle mafie si sono raccolti al teatro Vittorio Emanuele per un momento a loro riservato, a cui ho avuto l’onore di assistere. Cinquecento familiari in assemblea con poche semplici regole: chi vuole intervenire si registra, viene chiamato, sale sul palco e racconta. Storie di una drammaticità difficile da descrivere: morti violente, vittime infamate dopo la morte, indagini depistate.

 

Racconti condivisi con grande dignità, di chi ha sofferto la perdita improvvisa e ingiusta dei propri cari, con la nobiltà di chi non grida vendetta, ma chiede giustizia: per molte vittime ancora non si conoscono i colpevoli. In quel teatro il protagonista è il dolore: tutti i presenti portano dentro ferite lancinanti. Dolore che, con tempi diversi per ciascuno, hanno saputo trasformare in impegno, grazie anche al sostegno dei familiari delle altre vittime innocenti delle mafie. Così Libera non è tanto l’associazione di appartenenza o il luogo delle lacrime, ma una famiglia, una rete che ti sostiene, una calda vicinanza, il luogo della memoria e il terreno del riscatto. Questo ho visto in quel teatro e i racconti delle madri, di figli, di fratelli che volevano onorare la memoria segnano per me un personale nuovo impegno di responsabilità.

 

Le oltre 900 vittime innocenti delle mafie sono state portate davanti a Dio nella veglia ecumenica e interreligiosa nella chiesa di Santa Caterina, gremita di cittadini che hanno fatto da corona ai familiari. Silenzio, raccoglimento, e la lettura dei nomi: noti e meno noti, tutti alla stessa altezza, tutti grandi.

 

Commozione. Dolore raccolto, che diventa preghiera, espressa dalla Chiese cattolica, da quella valdese e dalla comunità islamica. Per tutte, la testimonianza della madre di Attilio Manca, di Barcellona Pozzo di Gotto, urologo che ha riconosciuto, nell’anonimo paziente che stava curando, Bernardo Provenzano. Da quel momento il suo destino è stato segnato: trovato morto per una dose micidiale di eroina che si sarebbe iniettato, versione mai accettata dalla famiglia, con l’accenno ad elementi inquietanti che chiamerebbero in causa la responsabilità dei servizi segreti. La verità è ancora nascosta.

 

 

Vincenzo, padre di Nino Agostino

Nel primo giorno di primavera questi familiari sono stati circondati da un popolo di giovani, di cittadini, per rendere onore a tutti gli innocenti che hanno perso la vita a causa delle mafie e per realizzare un'unione ideale tra istituzioni e società civile, tra generazioni, religioni e culture diverse, nell'obiettivo comune di un Paese finalmente libero dalla presenza mafiosa e dalla corruzione.

 

Una rinnovata richiesta di verità e giustizia che viene affidata, a nome di tutti, da Vincenzo Agostino, l'anziano padre del poliziotto Nino Agostino che, dal giorno dell'omicidio del figlio e della giovane nuora incinta, non si è mai più tagliata la barba, ormai lunghissima. Vincenzo, il 26 febbraio, nel confronto all’americana nell’aula bunker dell’Ucciardone, ha riconosciuto subito, dopo 27 anni, l’ex poliziotto della mobile accusato di essere il killer, con tessera dei servizi segreti in tasca, che avrebbe cercato Nino pochi giorni prima dell'agguato. Per i collaboratori di giustizia è stato lui ad aiutare gli assassini a fuggire. Quel giorno Vincenzo, dopo aver detto: «È lui!» ha avuto un malore, ma ora è forte come una roccia. Le sue parole e il suo sguardo sono un monito e una consegna.

 

Queste 900 vittime innocenti stanno sostenendo la Sicilia e l’intero Paese come colonne, con un sacrificio che ha già fatto fiorire in molti «l'impegno a metterci la faccia per dire no all'anestesia delle coscienze», come ha ribadito don Ciotti, fondatore di Libera. Il combattimento è quotidiano. Ma è certo che questo inizio di primavera segna per quest’isola un punto di non ritorno.

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