Il mercato delle bombe e la riconversione possibile

I lavori di LoppianoLab per andare alle radici del problema dell’export di armi ai Paesi in guerra. Alcuni spunti per un percorso di impegno senza retorica a partire dal caso della fabbrica Rwm in Sardegna
AP Photo/Kamran Jebreili

Dopo la bocciatura alla Camera delle mozioni Marcon e Corda che prevedevano lo stop dell’invio di armi verso l’Arabia Saudita, Paese coinvolto nella guerra in Yemen, l’evento di LoppianoLab è stato il momento ideale per fare il punto della situazione e maturare nuove scelte di impegno.

La situazione yemenita, presentata da Paolo Pezzati di Oxfam, è sempre più tragica. I bombardamenti della coalizione a guida saudita su obiettivi civili, come ospedali e condutture dell’acqua, sono tra le cause della peggiore epidemia di colera esistente oggi al mondo. Questo fatto ci tocca da vicino perché questi ordigni, come più volte denunciato in varie sedi, sono prodotti in Italia, da una azienda con sede in Sardegna ma di proprietà tedesca.

Cosa fare per risolvere questa tragedia immane? La risposta passa inevitabilmente dall’embargo di armi, già in vigore, paradossalmente, nella stessa Germania. L’interruzione dell’export bellico non potrà risolvere il conflitto per mancanza di arsenale ma esprime un grande valore politico a livello internazionale, tanto più che l’italiano Gianfranco Petruzzella, come fa notare Pezzati, riveste il ruolo di inviato speciale Onu per le trattative di pace in Yemen.

La questione della produzione di armi destinate alla guerra in corso nel Golfo Persico, permette di far emergere molte credenze e luoghi comuni.

In via generale, infatti, molti, sia adulti che giovani, si dicono contrari alla guerra e alla violenza. Alcuni, tuttavia, vedono con sfavore l’embargo di armi perché credono nella supremazia del mercato («finché c’è domanda dovremmo vendere armi»).  Altri ancora, mostrando attenzione alla condizione dei lavoratori di un’area in crisi, sono contrari allo stop delle esportazioni belliche per  salvaguardare l’occupazione.  Infine, esistono anche coloro che considerano comunque la produzione e diffusione di armi un fattore di sicurezza.

EPA/SAUDI PRESS AGENCY
EPA/SAUDI PRESS AGENCY

Momenti di approfondimento come quello di Loppiano Lab, nel laboratorio intitolato “A che serve parlare di pace se inviamo armi ai Paesi in guerra”, aiuta a fare chiarezza. «Ammazzare è sempre sbagliato» diceva don Mazzolari e dobbiamo lavorare affinché ciò non accada. Esiste un nodo culturale da sciogliere perché sembra dominare l’idea che investire e vendere armi sia la direzione giusta per lo sviluppo e la sicurezza, anche se ciò provoca la morte di altre persone.

La fede nel concetto astratto di mercato ignora che la fabbrica sarda è stata convertita nel 2001 per produrre bombe grazie a incentivi pubblici. Non si può essere liberisti a fasi alterne. Se una spinta finanziaria spesso è necessaria per catalizzare processi che anticipano trend economici, bisogna riconoscere che in questo caso si è deciso di promuovere la crescita della domanda di armamenti. L’incentivo pubblico dovrebbe favorire processi diversi al conflitto armato per risolvere le controversie tra Stati e dentro gli Stati. E questo in ossequio alla nostra Costituzione che ripudia la guerra.

Politiche industriali e riscoperta del territorio

Anche coloro che ritengono tali valori una semplice espressione retorica, e non un impegno rivolto ad ogni cittadino della Repubblica, dovrebbero conoscere l’analisi realista proposta a LoppianoLab da Marcello Corti, responsabile del settore politiche industriali della Cgil di Firenze.

Facendo un parallelo con la Seconda Guerra Mondiale, il sindacalista fiorentino ha ricordato che all’avanzare delle truppe Usa in Italia cominciò una progressiva diminuzione dell’importazione d’Oltreoceano dei sistemi d’arma a favore della produzione diretta nella nostra Penisola. Molti indicatori lasciano presagire la crescita di una produzione autonoma di armi da parte dell’Arabia Saudita che importa gran parte del materiale per motivi strategici.

AP Photo/Kamran Jebreili
AP Photo/Kamran Jebreili

Per questi motivi, esistono serie ragioni che invitano non solo i lavoratori, ma anche gli strenui “fiduciosi nei meccanismi del mercato”, ad elaborare  un piano per il lavoro capace di  cogliere le opportunità di una terra meravigliosa e unica al mondo, senza lasciarsi condizionare dagli interessi di corto respiro holding finanziarie. L’intervento di Corti ha permesso di riaprire il discorso sulla riconversione industriale dal dal bellico al civile al centro di un serio lavoro delle aziende metalmeccaniche e aerospaziali presenti in Toscana. Al centro resta la questione su cosa, come e per chi produrre. I dati di Oxfam, uniti alle notizie di tutti i giorni, stanno a testimoniare che la diffusione di armi ha reso più insicuro tutto il mondo.

La bellezza della Sardegna, territorio di produzione delle bombe della Rwm, è universalmente nota d’estate per i suoi mari cristallini, ma è praticamente quasi sconosciuta per le sue bellezze storiche, di archeologia industriale e unicità paesaggistiche (è la regione italiana geologicamente più antica d’Europa).

Iglesias
Iglesias

La presenza a LoppianoLab di Giampiero Pinna, presidente della Fondazione del Cammino Minerario di Santa Barbara, ha permesso di conoscere un esempio di riconversione di un territorio dalla secolare attività di estrazione mineraria ad una vocazione turistica non legata unicamente al periodo estivo. Un importante seme di sviluppo per un territorio colpito da una forte disoccupazione. I 400 chilometri del Cammino di santa Barbara rappresentano un esempio di valorizzazione del patrimonio ambientale e storico per lo sviluppo sostenibile.

L’abbraccio e l’impegno a partire dalle città

Un laboratorio “per il lavoro degno e per la vita”, quello proposto domenica primo ottobre a Loppiano, che si è rivelato ricco di testimonianze e spunti di approfondimento ma che ha voluto esprimere, in primo luogo, un abbraccio fraterno al lavoro del Comitato per la riconversione della fabbrica Rwm Italia, che  si presenta, in effetti, con un nome complesso e significativo: «per la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell’industria bellica e il disarmo, la partecipazione civica a processi di cambiamento, la valorizzazione del patrimonio ambientale e sociale del Sulcis Iglesiente».

Dalla Sardegna emerge il percorso di una rivoluzione culturale che vuole entrare nel merito della dignità della persona a partire dal diritto dei lavoratori a non essere sottomessi al ricatto tra “pane o bombe”.

È una questione di carattere nazionale e dal valore universale che richiede il coinvolgimento diretto delle nostre città che può partire solo dal risveglio delle coscienze di tutti, a partire dalle imprese che possono investire il loro patrimonio di know-how nella riconversione economica del territorio del Sulcis-iglesiente. Una alleanza che chiama in causa ogni città italiana a prendere posizione per il rispetto della Costituzione, dei suoi valori di pace e di dignità della persona.

 

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons