Mattarella e il governo di salvezza nazionale

Nuovo governo o ricorso alle urne. Al via, nel giorno della Memoria, le consultazioni al Quirinale dopo le dimissioni di Giuseppe Conte. Attenzione alla redazione definitiva del Recovery plan
governo

Le dimissioni del presidente del Consiglio sono arrivate assieme alla notizia che il Fmi stima in peggio l’andamento del Pil previsto per l’Italia nei prossimi anni a partire dal 2021. Il ricorrente invito dall’esterno a “fare presto” per risolvere la crisi di governo deve riconoscere la priorità della “giornata della Memoria” con la cerimonia prevista la mattina del 27 gennaio nel palazzo del Quirinale che ha ospitato il re Vittorio Emanuele III, firmatario nel 1938, con Mussolini, delle vergognose leggi persecutorie delle persone di “razza” ebraica.

Non c’è migliore viatico per comprendere la responsabilità del potere, la sua transitorietà e la necessità di riconoscere i limiti che vengono prima di ogni strategia.

Nel pomeriggio del 27 iniziano le consultazioni del presidente della Repubblica che ascolterà le cariche istituzionali e le forze politiche per arrivare a decidere entro sabato 30 gennaio se affidare l’incarico di definizione di un nuovo esecutivo allo stesso Giuseppe Conte o ad altra personalità che sappia assicurare una maggioranza parlamentare in grado di governare il Paese in questa fase di emergenza pandemica e definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)

Il presidente del Consiglio dimissionario ha affidato alla sua pagina Facebook il proposito di arrivare alla «formazione di un nuovo governo che offra una prospettiva di salvezza nazionale. Serve un’alleanza, nelle forme in cui si potrà diversamente realizzare, di chiara lealtà europeista, in grado di attuare le decisioni che premono, per approvare una riforma elettorale di stampo proporzionale e le riforme istituzionali e costituzionali, come la sfiducia costruttiva, che garantiscano il pluralismo della rappresentanza unitamente a una maggiore stabilità del sistema politico».

La centralità della riforma elettorale rappresenta per alcuni commentatori una forzatura delle materie strettamente affidate al parlamento e non ad una maggioranza governativa. Ma è evidente a tutti il pericolo di andare alle elezioni con l’attuale legge Rosato per definire, in maniera squilibrata, la composizione delle nuove camere con il numero ridotto di parlamentari definito nel recente referendum costituzionale. I vincitori guadagnerebbero una maggioranza assoluta che non rappresenterebbe la reale composizione delle opzioni politiche nella società.

Le strade percorribili per un nuovo governo sono quelle di una difficile ricucitura della rottura con Italia Viva e l’allargamento ai parlamentari cosiddetti “responsabili”, cioè fuoriusciti da altri partiti o espressione di quelli più piccoli (ad esempio Udc e Psi) ospitati nelle liste maggiori. Teoricamente potrebbero essere della partita “europeista” anche i parlamentari di Forza Italia che non vogliono essere assorbiti dalla logica dominante di Lega e Fratelli d’Italia.

A scongiurare ogni possibile alleanza con il partito di Berlusconi ci ha pensato Alessandro Di Battista, esponente dei M5S senza incarichi ma tra i più seguiti, che sempre sui social ha postato il famoso video del giudice Paolo Borsellino sulla presenza di un noto mafioso alle dipendenze del fondatore di Mediaset.

Per il momento l’opposizione di destra si presenta compatta potendo solo avvantaggiarsi delle divisioni eclatanti tra i partiti del Conte 2. Il ritorno alle urne dovrebbe premiarli secondo i sondaggi e comunque è aperta loro la possibilità di far parte di un esecutivo di emergenza nazionale affidato ad una figura di garanzia come Mario Draghi che resta, comunque, una risorsa da ultima istanza e il candidato ideale, secondo molti, per il cambio della guardia in Quirinale.

È significativo che la necessità di un cambiamento a Palazzo Chigi arrivi dal mondo della cultura che ci ha abituato ad analisi di carattere generale. È entrato nel merito ad esempio il sociologo della Cattolica di Milano Mauro Magatti che vede la necessità di “cambiare schema per salvare l’Italia” spingendosi fino ad indicare come possibile presidente del Consiglio l’ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini, ora coordinatore dell’Alleanza per lo sviluppo sostenibile che mette insieme diversi attori della società italiana.

Ad ogni modo, un qualsiasi nuovo governo, dal Conte 3 a quello di unità nazionale con tutti i partiti, dovrà ridisegnare e correggere il Pnrr (o Recovery plan) che è stato duramente criticato nel confronto del 25 gennaio tra il Conte2 e Confindustria.

Il documento, secondo il presidente degli industriali, Carlo Bonomi, non ha una visione: «Non c’è il senso di quale Paese vogliamo costruire. Non si parla di come rendere la società più moderna, inclusiva, aperta ai giovani e alle donne. Non sono indicate riforme, obiettivi, indicatori di performance. Non ci sono i rendimenti attesi degli investimenti». Ma la stoccata più dura è arrivata sulla parte relativa ai trasferimenti tecnologici definita “una nazionalizzazione di fatto”. Non è difficile riscontrare in questa stroncatura l’obiezione contro la visione sullo “Stato innovatore” e le politiche pubbliche auspicate dall’economista Mariana Mazzucato che Conte ha scelto come consigliera personale su questa materia strategica. La studiosa italo statunitense, come è noto, non ha firmato il cosiddetto “Piano Colao”, cioè il programma di investimenti coordinato, su incarico del governo, dal manager bresciano ex ad di Vodafone e poi accantonato.

Critiche esplicite alla gestione di Conte sono arrivate dal Terzo Settore che si è sentito trascurato nelle linee di intervento del governo e nel riconoscimento dei cd “ristori” per le attività che non rientrano nella categoria di pubblico e privato.

Saranno questi i mesi decisivi per definire la stesura effettiva del Recovery plan da consegnare a fine aprile 2021 e su quelle partite va prestata attenzione per capire la configurazione del nuovo governo e delle alleanze che lo renderanno possibile.

 

 

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