Maricruz e Mariana

L'amore materno attraverso lo sguardo delicato e poetico di un artista americano. Nel libro di Michela Dall'Aglio Maramotti Con occhi diversi, arte e relazioni umane edito da Città Nuova
Maricruz e Mariana

«L’artista americano Ray Smith ha dipinto una scena di amore materno ritraendo la moglie e la figlia nell’opera intitolata Maricruz e Mariana: al centro di un vortice di luci e di colori, una giovane donna tiene in braccio la figlia, gli occhi dell’una sono agganciati a quelli dell’altra in un dialogo intenso e complice. La madre stringe con orgoglio la bambina e sembra guardare il futuro, mentre lo sguardo della bimba si fissa nei suoi occhi per assorbirne ogni conoscenza. Anche lei sembra essere orgogliosa della madre.

Entrambe hanno capelli corvini e lucenti – se solo muovessero la testa ne potremmo sentire il fruscio -, folti, forti e lisci come matasse di seta nera. I visi quasi si toccano, come accade tutte le volte che, preso in braccio un bambino, si scosta leggermente la testa per guardarlo negli occhi. I nasi si sfiorano, forse stanno per strofinarseli l’una con l’altra, per poi riderne insieme.

I gesti, gli sguardi, la vicinanza e la confidenza dei corpi evocano il ricordo di un tempo, non molto lontano, in cui madre e figlia erano una cosa sola.

Il ricciolo sulla fronte della bambina, che sta crescendo così simile a quello che corre tra i capelli della madre, suggerisce una somiglianza nel loro carattere. Nei ricci, canta la tradizione popolare, si nascondono i capricci, ma l’uomo che ritrae con amore e ammirazione le due donne li dipinge come indizi della loro indole, che indoviniamo ugualmente determinata e appassionata.

[…]

Dall’amore delle madri dipende la sopravvivenza dei figli e della specie umana: lo sapevano bene le popolazioni antiche, che pure erano organizzate sulla base di una cultura fortemente patriarcale. Per questo il Dio d’Israele – che ama come un marito e un padre -, esprime l’apice del proprio affetto dichiarando di amare come e più di una madre, con un sentimento viscerale che nessun ragionamento, nessun buon senso, nulla può estirpare.

Quando solleva il bambino alla guancia (Osea 11, 4), quando lo tiene stretto mentre muove i primi passi perché non cada e non si spaventi (Sal 36, 23), quando lo consola se piange (Is 66,13), lo istruisce con premura (Sal 32, 8), quando è inconsolabile per la sua morte (Ger 31, 14-16), quando vuole credere sempre e nuovamente nella bontà dell’essere umano, Dio ama come una madre.

Il mistico cabbalista del XVI secolo Yitzchaq Luria chiamò questo modo di essere presente di Dio nel mondo Shekinah, volendo con tale termine personificare e indicare, a un tempo, il lato femminile in Dio e la sua presenza amorevole nel mondo. Nei racconti dei Chassidim, il movimento religioso sorto nel XVII secolo in Europa orientale, si dice che la Shekinah è stata vista spesso vagare, piangendo preoccupata per le sofferenze o gli errori dei suoi figli – gli esseri umani – o rallegrarsi delle loro gioie e delle loro buone azioni.

La natura dell’amore, la sua potenza, la sua capacità di valicare i confini della morte fino a penetrare – unico tra tutto ciò di cui abbiamo esperienza – l’eternità, è descritta da Paolo di Tarso nella prima Lettera ai Corinzi. L’amore è l’unica cosa che dà senso e valore alle nostre azioni: anche le più grandi vicende, anche le imprese più eroiche e sante non servono a nulla, se non si è capaci di amare, perché solo l’amore ci trasforma:          

“Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l’amore, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.

E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi l’amore, non sarei nulla.

E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi l’amore, a nulla mi servirebbe.” [1]

Si tratta di uno dei più intensi inni all’amore che mai siano stati scritti. L’apostolo continua descrivendo l’amore attraverso le azioni che compie:

“L’amore è magnanimo, è benigno l’amore, non è invidioso, l’amore non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.”

Nelle parole di Paolo scompaiono tutte le distinzioni tra i diversi tipi di amore: l’amore è, al di là di ogni particolarità. Che sia tra genitori e figli, mariti e mogli, amanti, amici, l’amore è uno: è il bene dell’altro divenuto più importante del mio, è continuare ad avere fiducia nonostante la fatica e le delusioni, èdesiderare che l’altro viva. Anche cercare la giustizia e la verità, anche educare e insegnare sono atti d’amore».

Michela Dall'Aglio Maramotti, Con occhi diversi, arte e relazioni umane, pp. 120, € 16.50

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[1]
Cfr. 1Cor 13. La parola greca agape del testo originario, che significa amore nel senso di profonda passione per il bene dell’altro, viene tradotta sia con carità che con amore.

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