L’Unione europea alla prova della solidarietà

Il caso della Grecia è una cartina di tornasole dei valori che sorreggono l’azione comune all’interno dell’eurogruppo e ci rivela cosa vogliamo fare insieme e come farlo
Grecia

In un documento sopposto al Consiglio europeo dei capi di stato e di governo del 12 febbraio, Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione, ha parlato dell’euro come di un progetto politico e di « una comunità di destini ».

Spesso si fa riferimento all’Unione Europea come a una “comunità di valori”. Valori condivisi, che guidano o dovrebbero guidare l’azione comune. Ma che fare quando questi valori sono in conflitto?

Nel caso della Grecia: è giusto che Tsipras e il suo ministro delle finanze Varoufakis rispettino l’impegno preso con gli elettori, e la volontà di questi ultimi nell’eleggerli, di metter fine all’austerità richiesta come contrapartita del piano di aiuti? Certamente.

È giusto, come altri sostengono, che chi ha speso più di quanto potesse permettersi, finanziando i debiti del bilancio pubblico con prestiti piuttosto che aumentando le tasse (è il caso della Grecia, ma anche dell’Italia) a un certo punto si confronti con la realtà e ripaghi il debito contratto? Certamente, tanto più che tanti governi dell’eurogruppo devono fare i conti con le loro popolazioni, che proprio questo chiedono: sia gli stati “virtuosi” come la Finlandia, che va alle elezioni il 18 aprile, sia gli stati sottoposti anch’essi ad una cura di rigore come la Spagna, l’Irlanda e il Portogallo, che hanno rispettato le regole comuni con grandi sacrifici (tra l’altro benefici, perché le riforme attuate stanno loro permettendo di trovare una ripresa economica superiore alla media della zona euro) e che ora non accettano concessioni per uno solo di questi stati.

Intanto, però, in Grecia si muore di fame (e non è un modo di dire). C’è un senso di urgenza nelle richieste del governo di Atene di rivedere le condizioni collegate al piano di aiuti europei del FMI: senza la nuova tranche di aiuti a fine febbraio, la Grecia non potrà pagare stipendi ai dipendenti pubblici e servizi. Ma i nuovi aiuti sono sottoposti a condizionalità, le riforme cui si era impegnato il governo precedente e che ora i cittadini greci e Tsipras rifiutano: si tratta tra l’altro di riforme in parte necessarie, per far sì che gli straricchi del paese, oggi quasi del tutto esenti da tassazione, contribuiscano alle finanze pubbliche, ma sono riforme che richiedono tempo.

Guadagnare tempo: è quello che hanno deciso, dopo una settimana di aspri confronti tra Grecia da un lato e i 18 paesi dell’eurogruppo dall’altro, i ministri delle finanze della zona euro venerdì 20 febbraio. Atene riceverà l’ultima tranche del piano di aiuti in corso (alle condizioni attuali) per altri quattro mesi, il tempo per proporre un piano credibile di riforme in vista di un nuovo piano di aiuti, che sarà necessario per garantire sostenibilità dei conti pubblici greci. Riforme che siano al tempo stesso fattibili per i cittadini ellenici, stremati dalla crisi (anche di fiducia: da dicembre 2014 i greci hanno ritirato dalle banche il 10% dei depositi) e dai sacrifici, e accettabili per gli altri partner della moneta unica.

Si tratta di una sfida ardua e di enorme possibilità: quattro mesi per ritrovare il senso del cammino comune, per trovare una via d’uscita possibile tra i due estremi del rigore e dell’irresponsabilità.  Un cammino da funamboli sulla strada del destino condiviso che si chiama solidarietà: sentirsi davvero legati gli uni agli altri, i più forti ai più deboli, tutti con la responsabilità “in solido” di trovare una soluzione che permetta di non perdere nessuno dei partner per strada.

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