Lotta alla povertà: in cerca di un alfabeto comune

povertà

Con sei milioni di persone in povertà assoluta, l’Italia rischia una disgregazione sociale che può avvenire in varie forme. Non attraverso una rivolta ma, come accade spesso, in lotte intestine tra coloro che avvertono il peso della crescente esclusione.

 

Come ha rilevato il rapporto dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) di metà mese di maggio, «il reddito medio in Italia ha subito una diminuzione di circa duemila e 400 Euro rispetto al 2007, arrivando ad un livello di 16.200 euro pro capite nel 2012. Si tratta di una delle riduzioni in termini reali più significative nell’Eurozona dove, in media, la diminuzione nei redditi nei diversi Paesi è pari a mille e 100 Euro». 

 

Quindi a meno della metà di quella italiana. Secondo le previsione della stessa agenzia internazionale, «la ripresa economica, seppur necessaria per far ripartine l’economia italiana e la creazione di posti di lavoro, non sarà probabilmente sufficiente per porre fine alla profonda crisi sociale e del mercato del lavoro che colpisce attualmente il Paese. Agli sforzi per una crescita economica solida e duratura occorre affiancare investimenti per un sistema di protezione sociale più efficace che permetta di evitare che le difficoltà economiche diventino sempre più radicate nella società».

 

POLETTI E IL REIS DELLE ACLI

 

Si spiega in questo senso l’apertura fatta dal Ministro del Lavoro, Giuliano  Poletti, nell’incontro avuto,  il 21 maggio, con 33 organizzazioni sociali riunite nell’Alleanza contro la povertà proposta da Acli e Caritas per far introdurre in Italia il Reddito di inclusione sociale (Reis). Poletti ha parlato a ruota libera con interlocutori ben conosciuti per provenienza e cultura, e avrebbe potuto lanciare la notizia dell’introduzione immediata di una misura contro la povertà estrema che è pensata tra l’altro, dal gruppo di esperti che l’ha studiata, per essere applicata gradualmente.   

 

Un miliardo e 800 milioni di euro per il primo anno che corrispondeva alla disponibilità finanziaria dell’eventuale “tesoretto” annunciato da Renzi ma obbligatoriamente dirottato per coprire temporaneamente la falla aperta dalla sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni. L’annuncio del ministro rappresenta quindi un rinvio a settembre quando inizierà ad essere discussa la nuova Legge di stabilità. Cosa accadrà nel frattempo?  

 

INPS ALL’ATTACCO

 

C’è anche chi, come il presidente dell’Inps, Tito Boeri, vuole intervenire in tempi brevissimi. Nell’audizione del 19 maggio presso la Commissione affari sociali della Camera, Boeri ha affermato che l’aumento vertiginoso dei tassi di povertà in Italia non sono affatto un male inevitabile. In sostanza la ragione dei dati drammatici relativi al nostro Paese risiede nel fatto che «non abbiamo un sistema di prestazione sociale, un sistema di erogazione, di trasferimenti alle famiglie in grado di contrastare efficacemente la povertà». Entro il prossimo mese di giugno, dal vertice dell’Istituto previdenziale arriverà una proposta completa e immediatamente applicabile per la «fascia di età critica, quella che va dai 55 ai 65 anni».

 

Viene in evidenza, così, la questione del reddito necessario per l’esistenza che non può essere collegato necessariamente alla possibilità di inclusione lavorativa.  Massimo Baldini, professore di economia all’università di Modena e membro del Centro di analisi delle politiche pubbliche della stessa realtà accademica, ha esposto sul sito “lavoce.info” la rilevazione empirica che dimostra come, purtroppo, “non sempre contro la povertà basta il lavoro”.  Per almeno il 40 per cento delle famiglie italiane «il mezzo più ragionevole per un aumento del reddito è un trasferimento di denaro, oppure di servizi che sostituiscano la spesa privata».  

 

Un dato confermato a livello comparativo internazionale ma che certo non giustifica il becero assistenzialismo o la non proposizione del patto per il reinserimento socio-occupazionale di coloro che ricevono forme di sostegno al reddito.  Baldini è tra gli esperti che, coordinati da Cristiano Gori dell’Università cattolica di Milano, hanno elaborato la proposta del Reis.

 

IL VALORE DELLA COSTITUZIONE

 

Su un altro livello si muove la proposta del “Reddito di dignità”, proposta da Libera e Gruppo Abele www.campagnareddito.eu/ con una sottoscrizione on line che ha raggiunto 70 mila firme e il consenso politico di parte del Partito democratico, di Sel e del Movimento 5 Stelle che ha organizzato il 9 maggio una marcia nazionale Perugia Assisi per il reddito di cittadinanza.   

 

Per Libera non si tratta di un costo ma di uno strumento necessario per contrastare la crisi economica rivolto a coloro che si trovano al di sotto della linea di povertà pari al 60 per cento del reddito mediano equivalente familiare disponibile: «Il Reddito minimo o di cittadinanza, è una garanzia economica destinata alla persona così da definire una soglia di reddito sotto la quale nessun individuo deve scendere».  

 

Questa misura servirebbe a «prevenire il rischio di impoverimento delle persone e contrastare le mafie e la corruzione» ed è rivolta non solo a coloro che già sono in una condizione di povertà economica, ma anche «a coloro che in un dato momento della loro vita si trovano nella condizione di non poter lavorare o che hanno un reddito che non permette loro di vivere una vita dignitosa, o che hanno perso i benefici degli ammortizzatori sociali o che sono in ogni modo al di sotto di una certa soglia economica».  

 

Sempre secondo Libera, esistono nel Bilancio dello Stato le risorse per riconoscere questo reddito di dignità. Quello che manca è la fedeltà alla priorità politica indicata dalla Costituzione nel «garantire il sostegno e la dignità a quei milioni di italiani vittime della crisi e non certo colpevoli».

 

Il dibattito, quindi, si svolge ancora su tavoli e ambiti separati anche tra chi condivide la medesima urgenza sociale. Resta ancora difficile trovare un termine univoco quando si parla di misura contro la povertà, ma evidentemente sarà inevitabile porsi il problema di dove andare a prendere le risorse finanziarie necessarie per cercare di intervenire.  E in quel momento, se accadrà, la questione assumerà la valenza pubblica finora nascosta.

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