Lo strano sbarco di Latina

L’insolito approdo di extra comunitari sulle spiagge laziali punta i riflettori sul fenomeno del lavoro nero diffuso nell’area. Le possibili risposte di chi offre accoglienza sul territorio.
Immigrati

Le autorità hanno assicurato che si tratta di un evento non destinato a ripetersi. Sulla spiaggia di un albergo di lusso sul lungo mare di Latina è approdata una nave con alcuni passeggeri clandestini.

Non se ne conosce il numero effettivo ma solo che alcuni di loro sono stati intercettati e rispediti in Egitto con un volo charter.

 

La notizia ha fatto scalpore per la vicinanza con Roma che dista pochi chilometri da quel litorale.  Tanti gli interrogativi ricorrenti. Come sono riusciti ad eludere i controlli? Hanno sbagliato veramente rotta? E’ un altro allarme che deve destare preoccupazione e fa riferimento ad un’invasione meno appariscente e molto più aggressiva. Quel carico di “merce umana”, osserva il presidio antimafia di Libera, è come se fosse «una consegna diretta all’organizzazione del lavoro nero che domina nelle campagne e nell’edilizia sul territorio pontino».

 

Per capire le dimensioni del fenomeno bisogna far ricorso al dossier statistico della Caritas, pubblicato nel 2009, secondo cui la presenza stabile di stranieri si attesterebbe, in provincia di Latina, intorno alle 26 mila unità. Occorre poi aggiungere una quantità di lavoratori stagionali che sfuggono a ogni controllo. Ad esempio, gli indiani, che forniscono le braccia al lavoro agricolo e all’allevamento di bestiame, sono almeno 5 volte i 1.790 residenti ufficiali. Arrivano dallo stato indiano del Punjab, non per nave, ma con l’aereo e visto turistico, già indebitati con il sistema malavitoso che li ha reclutati e fatti arrivare per lavorare almeno 12 ore al giorno, sabato e domenica inclusi, per pochi euro.

 

Come ci racconta Mariagabriella Vitiello, responsabile dell’ufficio immigrazione della Uil, «si tratta di persone pacifiche, non abituate a rivendicare i propri diritti. Si indebitano per cifre sostanziose che a malapena riescono a rimborsare, finendo preda di sindromi depressive da esclusione sociale». Potrebbero denunciare la condizione di sostanziale schiavitù in cui si trovano guadagnando il diritto al permesso di soggiorno, ma «vince la paura per i tempi lunghi dei processi e le vendette che possono arrivare da tante parti». Il mediatore indiano, Ajay Kumar Rattan, volontario del sindacato UIL, che si occupa d’immigrazione presso l’ufficio di Terracina, recentemente si è recato in India per invitare, anche sui mezzi di stampa, a bloccare le partenze per l’Italia dove non li attende il benessere ma una situazione di sofferenza e di privazione assoluta di diritti. Eppure, ci conferma la Vitiello, «continuano ad arrivare con un‘età media sempre più bassa». Gli stessi uffici pubblici per l’immigrazione, pur con tutta la buona volontà, difettano di mezzi (perfino la carta) e di strumenti adeguati per gestire l’enorme mole di lavoro. Ci sono pratiche di ricongiungimento familiare che, pur tutto in regola, possono durare oltre due anni.

 

Ancora più carente la dotazione dell’Ispettorato del lavoro. Eppure esiterebbero le condizioni per far emergere tanto lavoro nero. Il sindacato dei lavoratori agricoli Cgil, proprio per rompere la coltre di silenzio, lo scorso maggio, ha promosso un corteo nella città di Latina chiedendo al Prefetto l’adozione di «interventi mirati per contrastare il lavoro nero e dare vita ad alloggi decenti per questi lavoratori, favorendo il ricongiungimento familiare e la messa in atto di reali politiche d’integrazione».

 

Le risposte continuano a non arrivare, mentre c’è il lavoro giornaliero di chi, come Mariagabriella Vitiello, ha iniziato a dedicarsi a queste urgenze a partire dall’esperienza del servizio civile. Il territorio esige il riconoscimento della dignità umana di tanti cosiddetti «lavoratori-fantasma», che non possono restare in balia dei caporali. E forse questo è un servizio civile da svolgere collettivamente.

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