Lo spirito nella materia

Non sappiamo a volte cosa ci prenda di fronte alle opere d’arte. Le parole, ogni parola, appaiono smorte davanti alla certezza della fantasia che sempre si rinnova. E sacchi, legni, metalli, plastiche – cose che sembrano non dire nulla – pare invece che escano dal non-essere della loro materialità per diventare icone della luce. Direi, della vita. Di qui, la difficoltà di esprimersi. Ma la sorpresa, e un certo incantamento, che ci prendono, parlano da soli. Non si viaggia tra cose inerti, dove la figura umana è assente; nemmeno tra concetti intellettuali volti soltanto a stupire. Si viaggia tra creazioni ognuna delle quali ha un suo tono, un suo volto: ed è una gioia potervi conversare. Alberto Burri, è lui, il protagonista. Ci sono lavori suoi di una bellezza straripante. Penso a Rosso e nero, 1953, Grande sacco, 1952, al Legno, 1958…: la materia, legno, tela, olio acrilico, sacco, spago così povera, inutile si direbbe all’arte, viene trasfigurata. Burri accosta gli elementi con un senso cromatico, una delicatezza di intreccio, un’apertura spaziale per cui ogni singola cosa gioca con l’altra, in un susseguirsi di pieni e di vuoti. Le cose parlano fra loro, e il risultato è che, davanti a chi le osserva, si apre un discorso nuovo, fluido: tutto serve ad un artista per esprimere la bellezza, se l’amore per ciò che è materia pura riesce a vivificarla. Di qui il senso di incantamento di cui si diceva, la gioia di scoprire in Ferro, 1959, il sussulto caldo del metallo che non è fine a sé stesso ma parola dell’anima. Perché l’arte, e la rivoluzione, di Burri – oggi scontata, ma non all’epoca – sta in quel suo amore spasmodico per ciò che è inanimato, all’apparenza inutile, in cui egli riesce a cogliere una possibile forma espressiva del sentimento. Se Michelangelo vedeva nel blocco di marmo già la figura che ne sarebbe venuta, Burri vede nella semplice materia l’emozione allo stato puro: a lui il compito non di estrarla, ma di farla esistere. Un lavoro faticoso, perché non si tratta di accostare cose, ma di metterle fra loro in relazione, così che creino una nuova armonia. Ci sono momenti, in Burri, dove questa armonia attinge ad un passaggio nell’infinito. Chiunque osservi lo straordinario Bianco Cretto C1, 1973, o il Grande nero cretto, 1977, ha l’impressione di sentirsi dentro un altro universo, quello della luce: accesa come una stella nel primo caso, oscura come una notte nel secondo: due facce di una sola realtà. È in opere simili che la materia si trova irrorata dallo spirito, perché passa in noi una comunicazione vitale che penetra nel profondo dell’animo. Innamorato di ciò che esiste, Burri lo prende e lo trascende con una forza interiore che stimola la sua poesia in variazioni continue, sempre più alte, più tese al metafisico: Nero e oro 1993, una delle ultime opere, fa dell’acrilico e dell’oro in foglia su cellotex un atto d’amore alla creazione, tanto da far ricordare il passo biblico dello spirito divino che aleggiava sulla terra informe e vuota. La capacità fantastica che l’artista ha in sé infatti ha reso ciò che è informe, forma, espressione di vita e di sentimento. Partendo da una tale lezione, l’arte europea e mondiale ha camminato per vie nuove. Nella rassegna, come in un rinato Rinascimento, le voci sono simili e distinte. E se Jean Dubuffet nella Joie de la terre, 1959, fa esplodere il sussulto della terra, Lucio Fontana rivela una formidabile capacità astrattiva nel Concetto spaziale (La luna a Venezia) 1961, di delicata poesia; se i Senza titolo di Franz Kline affascinano con la primitività del segno libero, Mimmo Rotella nel Muro romano, 1959, intuisce in cromie velate la storia che passa. Si resta sorpresi dalla poesia soffice di Pietro Manzoni (Achrome, 1961) come dalla violenza della Venere degli stracci di Pistoletto, o dalla elegia autunnale di Anselm Kiefer nel suo piombo e felce del 1989. E, alla fine del cammino, lo sguardo si sofferma sul Gospel di Damien Hirst, 2004, dove farfalle e vernice creano un’iride sfavillante che suggella, come una esplosione, la verità riscoperta da Burri: tutto ciò che esiste nella natura è nobile e bello, basta solamente scoprirvi il soffio vitale.

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