L’invocazione per i bambini della Terra Santa

Le richieste di pace e riconciliazione pronunciate dai leader di Israele e Palestina, a favore soprattutto dei più piccoli e delle loro madri, ora necessitano di un progetto di fraternità che concretizzi il desiderio unanime di pace espresso assieme a papa Francesco
Un momento dell'incontro col papa nei Giardini vaticani

Il mondo ha visto la grande preghiera promossa da papa Francesco a cui hanno aderito il presidente della Palestina, il presidente di Israele e il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I.

Dice il papa: «I nostri figli ci chiedono di abbattere i muri della inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace, perché l’amore e l’amicizia trionfino. Molti, troppi di questi figli sono caduti vittime innocenti della guerra e della violenza, piante strappate nel pieno rigoglio».

E questi figli gridano a Dio e domandano ascolto. Papa Francesco non si è mai sottratto a questo grido. Ecco la preghiera che cambia la storia. Non si tratta di radunanze religiose, ma della preghiera che si compie al cuore del conflitto, con le sue durezze, per disarmare i cuori di tutti e apprendere dalle vittime la via della pace.

Già a Lampedusa un anno fa il papa di fronte alle vittime della immigrazione aveva celebrato l’Eucaristia. Nella omelia aveva chiesto perdono: unica parola capace di contenere e sopportare quella tragedia e quella vergogna.

Il 7 settembre dell’anno scorso il papa ha lanciato la preghiera e il digiuno per la pace in Siria, consapevole della catastrofe che sarebbe avvenuta in tutta l’area se i bombardamenti fossero iniziati, con un prezzo di vite umane senza misura.

Il 25 maggio a Betlemme papa Francesco, nel suo viaggio in Palestina e Israele, ha posto al centro dell'attenzione il mistero dei bambini, violati dalla guerra e dalla violenza, contemplando il mistero del bambino di Betlemme. Era evidente il riferimento ai bambini palestinesi, feriti nella cura, nella dignità e nel futuro.

Quei bambini sono stati ascoltati a Roma dal papa, da Peres, da Abu Mazen e da Bartolomeo. Nella loro coscienza, ciascuno sapeva che, nella verità della preghiera, erano loro, le vittime, i veri maestri della pace. E sono loro che accompagnano i passi di chi desidera davvero avere il coraggio della pace.

Siamo oltre le adunanze di capi religiosi, a volte utili, non sempre necessarie, talora semplicemente coreografiche. Qui siamo di fronte al mistero dei bambini palestinesi e israeliani, pur nella diversità delle siatuazioni sociali e politiche.

La preghiera è stata una preghiera in ginocchio, anche se celebrata da due leader politici insieme al vescovo di Roma e al patriarca di Costantinopoli.

Le parole, la musica, i silenzi hanno narrato le storie dei bambini palestinesi non curati, perché senza risorse né tecnologie. Hanno narrato le paure dei bambini israeliani, aggrediti dai missili provenienti da Gaza. Hanno narrato il dramma dei campi profughi, il dramma di Gaza.

Per questo è stato invocato il Dio della pace e il Dio dei poveri. E l’invocazione ha avuto tre momenti: la lettura del testo sacro, la domanda di perdono e l’invocazione alla pace. Tutti hanno ascoltato, tutti hanno chiesto perdono, tutti hanno invocato la pace.

La preghiera cambia lo sguardo e il cuore. Si è parlato di "insieme per pregare" o "pregare insieme"… chissà i cristiani di Gaza cosa direbbero di queste sottilissime distinzioni. Dio delle vittime talora è meno teologo di noi. Quando si nutre della verità crocifissa, la preghiera ci dona il cuore e lo sguardo di Dio. Non sospende la politica, ma la giudica con la profezia della pace, del perdono e della riconciliazione.

Il presidente palestinese ha dichiarato riconciliazione e pace. Ecco la parola che sgorga dal cuore di questo anziano leader politico che, portando il peso della sofferenza dei suoi figli, si riconosce nella parola fortissima della riconciliazione, per costruire un rapporto nuovo con Israele. La vera pace è la riconciliazione. Tutto il resto è tatticismo e astuzia politica.

La sofferenza del suo popolo è talmente grande da Gaza a Ramallah, che il suo leader accetta la sfida di parole nuove, per dire cose nuove, e la pace in quella terra santa è la parola nuova per eccellenza, come il riconoscimento della Shoah, come la non violenza.

Il presidente Peres ha accolto questo appello silenzioso delle vittime e, rivolgendosi al papa, ha detto: «Noi tutti abbiamo bisogno della ispirazione che accompagna il suo carattere e il suo cammino. Grazie. Due popoli – israeliani e palestinesi – desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori». Egli conosce il dolore delle madri israeliane, ma si carica anche del dolore delle madri palestinesi.

Concludendo, Peres dice di essere stato uomo di guerra e uomo di pace e soprattutto non ha perduto la memoria della guerra, la memoria «delle famiglie, i genitori, i bambini, che hanno pagato il prezzo della guerra». Chi non dimentica le vittime è nelle condizioni di pregare e operare sempre la giustizia.

La partecipazione di Bartolomeo ha mostrato che sta nascendo il nuovo ecumenismo della pace, dove la ricerca dell’unità tra le Chiese ha la sua misura nell’impegno per la pace in Medio Oriente. Le Chiese cristiane ritrovano una antica e sempre nuova vocazione: la vocazione alla riconciliazione e al perdono con tutti. Senza i cristiani in Medio Oriente, la Terra Santa diventerà luogo di guerra senza fine, mettendo in pericolo l’intero Mediterraneo.

Questa preghiera ha raccontato anche una grande fraternità tra i convenuti. Dal breve viaggio in pulmino, all’abbraccio all’inizio e alla fine dell’incontro, al piantare insieme l’ulivo.

Non c’è stata finzione, non c’è stato tornaconto, ma accoglienza dell’altro nella sua diversità.

La forza di questo incontro è stata la verità della fraternità, che ha unito la storia e la vita dei suoi protagonisti. Tutti hanno invocato il Dio della pace e dei poveri e tutti hanno portato nel cuore il mistero delle vittime. Ciò che ha unito è stato proprio questo mistero.

C’è qualcosa che domanda un compimento, dopo questo incontro. Accanto alla preghiera, il gesto concreto della fraternità. Un progetto di fraternità come misura concreta di collaborazione e condivisione con l’altro. I bambini palestinesi domandano con urgenza la cura. A loro e alle loro madri una risposta va data. Lo chiede lo spirito di Betlemme, lo chiede il loro dolore senza fine, che vuole trasformarsi in incessante forza di pace.

(Nella foto: papa Francesco con i bambini di Betlemme)

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