L’infermiere di parrocchia al servizio dei più poveri

Da settembre, nelle diocesi di Alba, Roma e Tricarico, prenderà il via la sperimentazione di una nuova figura, che farà da intermediaria tra il Servizio sanitario nazionale e i più poveri e disagiati, che rinunciano alle cure o non sanno a chi rivolgersi.
Una anziana signora con un'assistente sanitaria

Accorciare le distanze e fare rete, combattere la “cultura dello scarto” andando incontro ai bisogni delle persone. Da queste istanze nasce un progetto sperimentale originale e utile – che prenderà il via in alcune regioni d’Italia nel mese di settembre -, che prevede la presenza di un infermiere di comunità inviato dalla Asl nelle parrocchie. Si tratta di una figura professionale che non offre servizi sanitari aggiuntivi o alternativi a quelli pubblici, ma fa da “ponte” tra le persone e i servizi socio-sanitari, raccogliendo richieste e bisogni dei singoli e attivando procedure e servizi per soddisfare tali richieste.

L’iniziativa, nata dalla necessità di avvicinare le fasce più marginali anche attraverso la capacità di conoscenza del territorio delle parrocchie, risponde all’esigenza di «accorciare le distanze» tra il Servizio sanitario nazionale e i singoli che non ne usufruiscono perché esclusi dalle reti sociali di contatto. Un metodo sussidiario di azione tra pubblico e privato, varato proprio in questi giorni tra l’Ufficio nazionale per la pastorale della salute e l’Azienda sanitaria locale Roma 1. L’accordo, che ha richiesto un anno di lavoro e che avrà una durata di cinque anni, è stato siglato dal direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della salute, don Massimo Angelelli, e da Angelo Tanese, direttore generale dell’Asl Roma 1.

«Il Progetto infermiere di parrocchia – si legge nel testo del progetto quadro – si propone come modello di collaborazione tra la Conferenza Episcopale italiana e il Servizio sanitario nazionale in una logica di sussidiarietà, da sperimentare presso alcune Aziende sanitarie locali italiane, tra le quali la stessa Asl Roma 1, finalizzato alla valorizzazione del ruolo delle parrocchie all’interno del processo di costruzione della rete assistenziale socio-sanitaria di prossimità e della realizzazione del modello di infermiere di comunità».

Un lavoro di sinergie: nel rispetto delle rispettive competenze, i due enti si impegnano in una iniziativa volta a raggiungere le persone anziane o sole che rinunciano alle cure mediche a causa di difficoltà economiche, perché non sanno a chi rivolgersi, o perché non hanno chi li possa accompagnare nelle strutture sanitarie. L’infermiere di comunità in parrocchia – o “infermiere di parrocchia” – avrà il compito di individuare tali persone e di fare da raccordo tra la comunità parrocchiale e il Servizio sanitario nazionale, accorciando le distanze ma senza sostituirsi ad esso.

Tra gli obiettivi evidenziati nel testo dell’accordo, infatti, c’è quello di «ascoltare, informare e orientare le persone all’interno della rete dei servizi socio-sanitari territoriali delle aziende sanitarie locali; facilitare i percorsi di accesso alle cure o all’assistenza, interfacciandosi con i distretti sanitari e i vari servizi territoriali di prossimità; intercettare gli “irraggiunti” e favorirne il contatto con la rete; favorire azioni di promozione della salute e del benessere della comunità».

L’iniziativa ha come partner professionali la Federazione degli ordini infermieristici (Fnopi) e la Federazione delle aziende sanitarie (Fiaso) e si compone di due fasi: quella nazionale e quella regionale. Nell’ambito della prima, verrà avviata la costituzione della Consulta nazionale per i servizi sanitari di prossimità e del gruppo di coordinamento tecnico del progetto.

La seconda fase, invece, partirà da settembre quando, nelle diocesi di Alba, Roma e Tricarico prenderà il via la sperimentazione e le chiese locali stipuleranno convenzioni con le rispettive Asl per individuare il profilo di infermiere di parrocchia più adatto alle esigenze del territorio.

Un progetto, sottolineano i promotori, che si inserisce nella linea di ascolto del “grido della città” e dei bisogni delle persone, soprattutto nelle aree interne come la diocesi di Tricarico e quella di Alba dove i referenti del progetto, don Giuseppe Molfese e don Domenico Bertorello, vorrebbero metterlo in atto proprio nelle zone più disagiate, come le alte Langhe in Piemonte.

 

 

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