L’indipendenza incompiuta

Troppi fattori condizionano la sovranità dei Paesi centroamericani. Ma intanto si celebrano 191 anni d’indipendenza dalla Spagna
el salvador

Da alcuni anni i Paesi centroamericani moltiplicano le iniziative per fare del blocco regionale un unico soggetto che abbia forza contrattuale negli scenari internazionali. I primi a richiederlo sono i Paesi europei, che dalla fine delle guerre civili degli anni Ottanta, hanno stanziato forti somme della cooperazione internazionale a favore, innanzi tutto, della ripresa economica, dell’integrazione sociale, dell’istruzione pubblica e della sanità. Gli enti internazionali premierebbero un Centro America unito, e a ciò tendono con determinazione gli attuali governi tramite il Sistema de Integración Centro Americano (SICA), l’ organismo creato per raggiungere tale scopo, ma ancora zoppicante.

Guarda caso così era nato il Centro America, un solo Paese federativo, come frutto del processo indipendentista. Approfittando della decadenza della monarchia spagnola, i moti rivoluzionari presero vigore per sovvertire i fragili governi della Nuova Spagna, le cui truppe realiste non ressero la dirompente onda rivoluzionaria, che dal Messico scendeva fino al Panama. I veri artefici della mobilizzazione erano chierici, professionisti e commercianti creoli, che trascinarono le masse di contadini nei campi e i piccoli borghesi nelle città. Era il 15 settembre, a Città del Messico, e poi il 5 novembre del 1811 in Guatemala e nel Salvador, quando al suon delle campane il grido di indipendenza risuonò negli atri delle chiese e nei cortili delle case signorili, per convocare il popolo già preparato a sollevarsi.

Ma per arrivare a un’indipendenza formale si impiegarono altri dieci anni, di alterne vicende e feroci lotte, per arrivare il 15 settembre del 1821 all'approvazione dello Statuto Costituente, che diede origine a una unica entità politica articolata in una pluralità di province federate. Sogno che durò pochi anni: ben presto si stagliarono gli Stati attuali, indipendenti gli uni dagli altri.
Da alcuni mesi una fiaccola, allo stile di quella olimpica, sta attraversando i 7 Paesi, di mano in mano, come un simbolo della volontà di unione. Adesso lascia il protagonismo alle varie manifestazioni, che culminano nelle sfilate civico-militari, con una folta presenza di alunni delle scuole pubbliche da tempo ingaggiati nelle bande musicali e nei gruppi coreografici che hanno allietato la giornata culmine del 15.

Nelle case e nei ristoranti vengono preparati piatti tipici, tradizionali, a base di mais, per ricordare che da quella pianta, secondo un’antica leggenda, sono nati i popoli primitivi di queste terre.
Oltre le celebrazioni resta la sfida dei grandi problemi non risolti, dalla povertà estesa all’imperversare delle bande criminali, dalle insufficienti strutture educative e sanitarie ad una produttività molto bassa che rendono la vita dei centroamericani molto penosa, da cambiare per altri scenari, magari quelli del nord, costi quel che costi.

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