L’Ilva nel caos italiano

Tempi stretti e scelte difficili attendono il nostro Paese sul caso dell’industria dell’acciaio
ANSA

Il blocco del sistema Italia

In queste settimane i preoccupanti casi di Alitalia, Ilva, Mose-Venezia ed altri minori, che si trascinano nella massima confusione da molti anni, hanno almeno una cosa in comune: essi appaiono i segni evidenti del fatto che la decadenza del nostro Paese ha ormai raggiunto livelli forse di non ritorno; si oscilla su molti fronti tra inerzia e paralisi politica ed amministrativa da una parte e interventismo senza regole dall’altra.

Si manifesta in tutta la sua evidenza la crisi di lunga durata delle classi dirigenti economiche, finanziarie, politiche italiane, di fronte anche, peraltro, al disorientamento di gran parte della popolazione.

 ANSA/RENATO INGENITO

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Comunque, sull’Ilva in particolare è stato già detto tutto o quasi ed è soltanto l’indignazione che può continuare a spingere a  parlarne ancora.

Partiamo dalla sciagurata politica di privatizzazioni a suo tempo portata avanti trionfalmente dai governi di centro sinistra. In tale quadro, l’Ilva viene ceduta ai Riva per poche lire e la famiglia si installa al comando, accumulando grandi profitti -che poi i magistrati hanno scoperto come essere stati trafugati all’estero-, disinteressandosi del tutto dei problemi ambientali.

Dopo la caduta dei Riva per opera della magistratura,  i governi che si sono succeduti nel tempo non hanno condotto alcuna azione seria per rilanciare il polo industriale e per abbattere i livelli di inquinamento; l’unica costante delle loro politiche sembra essere stata  quella di cercare di bloccare via via i provvedimenti dei magistrati a tutela della salute dei cittadini.

Alcuni punti fermi

E’ difficile oggi districarsi nel mare delle notizie ed informazioni le più disparate che girano intorno al caso, ma ci sono una serie di cose che appaiono abbastanza chiare.

Intanto c’è una diffusa convinzione anche tra una parte almeno della popolazione di  Taranto ed in alcune formazioni politiche che l’impianto non è emendabile, che quindi bisogna chiuderlo e portare avanti dei piani di riconversione.

Ora, per quanto riguarda il primo punto, è opportuno ribadire che in Europa e nel mondo ci sono tanti esempi di grandi siti dell’acciaio che hanno superato i problemi di inquinamento (basta ricordare i casi della Voestalpine a Linz, in Austria e quello della Tata Steel vicino ad Amsterdam).

D’altra parte, pensare che, dopo aver chiuso l’impianto, il governo sia in grado in poco tempo di varare dei piani per trovare una nuova occupazione per le circa 15.000-20.000 persone coinvolte appare come pura fantascienza. Il settore pubblico è ormai da tempo incapace di portare avanti un progetto di tali dimensioni; altri casi, come a suo tempo quello di Bagnoli, pur di dimensioni più ridotte, mostrano chiaramente che la cosa è impossibile.

D’altro canto, l’ipotesi della decarbonizzazione, cioè del passaggio dell’alimentazione dell’impianto con il gas invece che con il carbone,   che sulla carta appare una soluzione corretta, si scontra con il fatto che non esistono ancora al mondo impianti paragonabili come dimensioni a quello di Taranto con questa tecnologia, con l’ulteriore problema del reperimento del gas. Ma nel lungo periodo forse tale ipotesi potrebbe materializzarsi.

In ogni caso, nei confronti di Arcelor Mittal è stato compiuto un errore colossale, come molti hanno sottolineato. Non ci si può rimangiare delle clausole contrattuali, a proposito dello scudo penale, dopo averle firmate, che esse siano più o meno giuste.

Il mondo dell’acciaio

. ANSA/RENATO INGENITO
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A livello mondiale la produzione di acciaio è in crescita. Nel 2018 così essa è stata di 1.808 milioni di tonnellate, con un aumento del 4,6% rispetto all’anno precedente, mentre anche i primi dati per il 2019 indicano un rilevante incremento ulteriore.

Questo andamento positivo si concentra nei Paesi emergenti, mentre in quelli occidentali la tendenza è al ridimensionamento.

Leader incontestata del settore è la Cina, con 928 milioni di tonnellate, sempre nel 2018, con una quota pari al 51,3% del totale. Seguono a grande distanza India e Giappone. A livello invece di imprese, il primato va all’Arcelor Mittal. La società indiana possiede acciaierie in diverse decine di Paesi ed occupa almeno 200 mila dipendenti.

L’acciaio europeo è da tempo in crisi con lo stallo della domanda, l’arrivo di acciaio a buon mercato dall’Est, grandi livelli di concorrenza e prezzi bassi, con chiusure di impianti e fallimenti di imprese, in parte riprese poi in mano dai produttori dell’est. E’ proprio di queste settimane la notizia che i cinesi hanno acquisito gli impianti della British Steel, mentre l’indiana  Tata Steel sta avviando la ristrutturazione dei suoi impianti in Gran Bretagna e Olanda, con riduzione degli occupati.

La strategia di Arcelor Mittal

In questo quadro, l’Arcelor Mittal ha seguito nel tempo una politica di espansione nei paesi occidentali soprattutto con l’acquisizione di imprese in difficoltà.

Lakshmi Mittal,  EPA/NICOLAS BOUVY
Lakshmi Mittal, EPA/NICOLAS BOUVY

Per quanto riguarda l’ingresso nell’Ilva, in diversi già allora avevano avuto il dubbio che esso fosse stato avviato soprattutto per evitare che la società finisse nella mani di qualche concorrente. In ogni caso oggi, con la riduzione tendenziale della domanda di acciaio nei Paesi europei, l’azienda sta perseguendo una strategia di chiusura e ristrutturazione di impianti in vari paesi, mentre invece in queste stesse settimane essa mette le mani sugli impianti  di un altro grande produttore indiano in crisi. Ma il mercato di quel paese ha  ancora delle prospettive di espansione.

Appare in ogni caso singolare ed inaudito che la Mittal cerchi di arrivare al più presto e con tutti i mezzi alla chiusura dell’impianto di Taranto, mentre si sospettano manovre non chiare su diversi fronti (movimenti di merci, spostamento verso altri lidi di clienti dell’azienda italiana, cessazione dei pagamenti ai fornitori, manovre sui prezzi degli scambi intragruppo con obiettivi anche di elusione fiscale). Non si capisce che obiettivo abbia in mente anche se appare opportuno ricordare che il gruppo ha chiuso diversi altri impianti in Europa.

Cosa si può fare

E’ difficile configurare con esattezza la migliore soluzione per l’Ilva. Ma ci sembra che comunque alcuni punti siano imprescindibili.

In termini generali, bisogna portare avanti con decisione un piano di sostenibilità ambientale, economica e sociale dell’impianto, come ha sottolineato anche il Presidente di Confindustria.

Più in specifico, il Governo non può permettere la chiusura dell’impianto, che vale, secondo alcune stime, l’1,4% del pil nazionale, che è il maggior insediamento produttivo del Sud e rappresenta una produzione essenziale a tante industrie a valle.

Peraltro, sembra difficile, dopo i suoi recenti pessimi comportamenti,   mantenere la gestione dell’Ilva in capo ad Arcelor Mittal, anche se nel nostro paese tutto è  possibile. Va peraltro ricordata la necessità di reintrodurre lo scudo penale, senza il quale sarebbe molto difficile trovare degli investitori disponibili ad entrare nel gioco.

Bisogna ovviamente intervenire subito per evitare lo spegnimento dell’impianto. Dopo di che, appare necessario mettere insieme una nuova cordata, della quale non può non dover far parte l’operatore pubblico, azione ormai imprescindibile (sino ad ipotizzare anche, in casi estremi, la nazionalizzazione) a tutela degli interessi nazionali, oltre che altrettanto ovviamente un grande gruppo internazionale.

Tutto questo con due obiettivi di fondo, portare avanti il disinquinamento dell’impianto, accelerando e approfondendo i piani originali e rilanciare l’azienda dal punto di vista commerciale.

Bisogna ricordare che Taranto  diventa economica solo a partire dai 7 milioni di tonnellate di produzione circa, mentre la Mittal parla di  attestarsi sui 4,5 milioni. In ogni caso appare necessario investire molto per mettere in stato adeguato l’impianto. Bisogna anche cominciare a programmare, come progetto di lungo termine, una progressiva de carbonizzazione dell’impianto.

Si tratta ovviamente di obiettivi difficili da perseguire, ma non sembra che si possa fare diversamente.

Sulla questione leggi il caso in generale qui e le proposte alternative qui 

 

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