L’identità

Definire gli individui in base alla civiltà, alla cultura e all’identità di appartenenza è spesso all’origine di  relazioni conflittuali. Come uscirne? La riflessione di Ugo Morelli in Il conflitto generativo (Città Nuova, 2014)
il conflitto generativo

Se ci si chiede perché una persona possa subire violenza o emarginazione e, in non pochi casi, possa essere persino uccisa da chi neanche la conosce, per ragioni che riguardano i pro­cessi di individuazione e di appartenenza, ci si trova di fronte a uno dei conflitti più diffusi nella storia dell’umanità e anche nella nostra contemporaneità: il conflitto di individuazione e appartenenza.

In tutti questi casi siamo di fronte a un conflitto tra percorsi che portano ognuno di noi, in base alla propria storia, a diventare quello che è e allo stesso tempo ad apparte­nere a un gruppo e a una forma di vita organizzata con le sue regole i suoi valori, i suoi simboli e la sua cultura.

Quei per­corsi di individuazione che ci caratterizzano e ci distinguono possono essere più o meno diversi ed essere, allo stesso tempo, alla base del conflitto fra posizioni, che può mettere a confron­to l’identità e le forme di cooperazione, di accordo o di violen­za, proprio in ragione delle diverse appartenenze.

Le ragioni del conflitto di individuazione e appartenenza possono appa­rire anche molto futili, ma non per questo essere meno pro­blematiche e produrre esiti spesso particolarmente dolorosi o, comunque, impegnativi da elaborare.

Come confida Amartya Sen nel suo libro Identità e violenza, appena arrivato come studente indiano a Cambridge, nella sua prima interazione con il popolo inglese aveva avuto come scopo cercare di ren­dere tranquilla la padrona di casa, che temeva che il colore oli­vastro della pelle del suo inquilino potesse macchiare il bagno. Gli atteggiamenti che noi esseri umani affrontiamo nei con­fronti delle diverse individuazioni, delle diverse appartenenze, cambiano nel tempo e un ruolo importante in questa direzione ce l’hanno sicuramente l’educazione e la cultura.

Secondo il punto di vista di Sen la presenza dei conflitti di individuazione e appartenenza ci può consentire di riconoscere e affermare la pluralità nell’identità umana. La tendenza alla categorizzazio­ne sulla base di un sistema singolo e onnicomprensivo nega la complessità dei processi di individuazione e gli esiti diversi a seconda dei singoli percorsi. Le dinamiche nel corso del tem­po cambiano sistematicamente gli orientamenti individuali e collettivi. La rilevanza del ruolo del conflitto come via per l’af­fermazione del pluralismo dei processi di individuazione e di appartenenza tocca in primo luogo il concetto stesso di identi­tà. Possiamo scoprire così che non è possibile categorizzare gli individui unicamente in relazione a civiltà, cultura e identità di appartenenza. Questo processo non solo produce una staticità che colloca le persone in una sorta di scatole chiuse non comu­nicanti tra loro, portando a una perdita nell’apprezzamento della varietà nell’esperienza umana; ma ci conduce anche alla dialettica pace-violenza e mostra come la pace nel mondo con­temporaneo possa esistere solo grazie al riconoscimento della pluralità dei legami, dei modi di ragionare e delle azioni che stanno alla base dell’individuazione umana nelle sue moltepli­ci espressioni.

Occupandosi di identità, pare necessario sottoporre a criti­ca una serie di interpretazioni dominanti intorno a questo tema che associa l’identità all’orgoglio, alle forme di separazione da­gli altri e all’autoreferenzialità: tutti questi fattori non possono, infatti, che essere all’origine di forme antagonistiche nelle rela­zioni. La ragione fondamentale è che questi atteggiamenti sono basati su un principio di inclusione ed esclusione. Un’identità condivisa rischia di divenire così motivo di coesione interna ma allo stesso tempo di distanza nei confronti dell’esterno. Tutto ciò non può non generare sentimenti di mutua reciprocità da una parte e di ostentata indifferenza e separazione dall’altra.

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 La professione della libertà di pensiero che per molti aspetti coincide con una buona pratica nella gestione del conflitto, è probabilmente la via per evitare la violenza, la separazione e l’esclusione dalla vita. Il movimento della società richiede oggi più che mai una consapevolezza razionale nell’as­sumere le regole del riconoscimento dell’altro, dell’amare il proprio vicino, per le specifiche differenze di individuazione di cultura e di appartenenza, in quanto la condizione plane­taria esige un atteggiamento inedito per la costruzione di una civiltà plurale.

 

Da Ugo Morelli, Il conflitto generativo, la responsabilità del dialogo contro la globalizzazione dell’indifferenza (Città Nuova, 2014)

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