Libia. Tempo di crisi, tempo di scelte

Nella gravissima crisi al di là del Mediterraneo serve una mediazione politica efficace e duratura. La proposta di affidare un tale compito a Romano Prodi, che conosce come nessun altro lo scacchiere di Tripoli e Bengasi
Romano Prodi

Nel 2011, due mesi prima della caduta di Gheddafi, i capi delle tribù libiche e i capi di Stato africani chiedono alle Nazioni Unite la mediazione di Romano Prodi per tentare di risolvere la crisi. Una scelta non casuale, perché indicava il leader europeo che aveva sdoganato la Libia di fronte all’Europa con una politica di dialogo e che al tempo stesso era stato esigente nei confronti del presidente Gheddafi.

Ci ricordiamo l’accordo di Gheddafi con la Francia – e non con l’Italia – per la questione della cura dei bimbi libici malati di Aids. Una iniziativa nata nel 2004 sotto la presidenza Prodi della Commissione europea e maturata più tardi, nel 2007/2008. La spregiudicatezza di Sarkozy e di Gheddafi toglie spazio all’Italia ma lascia come eredità una leadership italiana senza doppiezza e condotta con grande serietà e coerenza.

Per questo il 15 agosto 2011 l’ex -presidente del Sud Africa, Thabo Mbeki, in una lettera personale al segretario delle Nazioni Unite sulla Libia lancia la candidatura di Prodi: «Conosce i principali attori coinvolti nella crisi a Tripoli e a Bengasi, conosce i leader delle principali tribù, che hanno fiducia in lui, conosce da vicino la situazione libica di cui si è occupato per molti anni da primo ministro italiano e da presidente della Commissione europea».

Il 20 agosto 2011 25 ex-presidenti e primi ministri africani approvano un documento che inviano al segretario delle Nazioni Unite in cui si chiede di «nominare Prodi come mediatore internazionale per cercare una soluzione politica della crisi e avviare un fattivo processo di stabilizzazione e fare ogni sforzo nella direzione della riconciliazione».

Sono documenti impegnativi che indicano la via politica alla riconciliazione in Libia e chiedono un mediatore che diventi il promotore e il garante di questa soluzione politica.

Alcuni mesi dopo la caduta di Gheddafi, dovremmo dire l’uccisione di Gheddafi, il segretario della potente associazione delle Tribù libiche scrive sempre al segretario delle Nazioni Unite, al presidente della Commissione dell’Unione africana e all’alto commissario per gli Affari esteri della Ue. In essa si dice: «Noi crediamo che il presidente Prodi possa essere la persona giusta per giocare un ruolo di mediatore e facilitare il dialogo all’interno del nostro Paese». Parole ancora una volta impegnative e ingombranti, in una agorà dove nessuno regala nulla a nessuno. Parole che meritavano una risposta adeguata e responsabile

Le Nazioni Unite hanno poi scelto un altro personaggio come delegato, certo competente ma non del livello politico e culturale del presidente Prodi e non con la sua conoscenza del complesso mondo delle tribù e della società libica, dove tutto si conquista costruendo e consolidando relazioni di pace e di giustizia.

Appare evidente anche in queste ore che il silenzio del governo italiano ha tagliato e taglia l’erba sotto i piedi all’opzione Prodi. Oggi siamo arrivati ad un punto di passaggio irreversibile: o si sceglie una volta per sempre la via politica della riconciliazione con tutti i mezzi di pressione – economici, culturali e umanitari di cui disponiamo – e affidando il mandato a chi oggi è in grado di svolgerlo al meglio, cancellando gelosie, pregiudizi, astuzie e retro-pensieri, oppure la guerra porterà tutti ad una tragedia di dimensioni immani.

Chi vuole mobilitare gli eserciti non si rende conto che la scelta delle armi è esattamente quella che vuole lo Stato islamico, perchè permette nuove reclute, la gestione di nuovi pozzi, la moltiplicazione degli interessi peggiori degli attori in gioco. L’Is (o Isis) ha bisogno della guerra per moltiplicare la sua influenza, per gestire la tratta dei barconi e la fuga dei disperati e per puntare all’egemonia sul mondo musulmano.

Il popolo libico, le tribù libiche, hanno invece bisogno della politica per ritrovare il filo dello Stato, della sua unità, per ricomporre gli interessi di tutti e di ciascuno, per fare pace in modo duraturo, permettendo al milione di libici fuggiti dal Paese di tornare avendo davanti a sé un futuro plausibile.

Si tratta di costruire un quadro regionale stabile all’interno del quale il popolo libico possa costruire un futuro di stabilità e di sviluppo. Questo è interesse di tutti, ma anche un nostro interesse nazionale per gestire l’immigrazioni di popoli che scappano dalle guerre e dai conflitti e che trovano oggi in Libia il porto naturale dei loro viaggi della disperazione e della morte.

La violenza e la guerra terroristica non si sconfiggono con le armi, come la vicenda della Siria e dell’Iraq conferma, ma tramite la politica. Non ci sono scorciatoie e non ci sono facili soluzioni. Rifiutiamo la cultura della paura che alimenta l’illusione della guerra,che tutto aggrava e niente risolve.

L’Italia, candidando Prodi a mediatore del conflitto in Libia, sulle linee già indicate, non solo mostrerebbe leadership e protagonismo internazionale, ma rafforzerebbe il ruolo del nostro Paese non solo nel Mediterraneo ma anche nella complessa crisi ucraina.

Una scelta da perseguire con grande convinzione e con il sostegno di tutto il Paese, che ha nel Mediterraneo una responsabilità storica. Il presidente Renzi non perda tempo. Sono passati tre anni e mezzo da quelle lettere provenienti dall’Africa e dalla Libia. Dia una risposta positiva. Mostri di guardare al Mediterraneo e all’Europa con una visione efficace, capace di essere all’altezza della grande sfida della riconciliazione.

Certo il tempo si è fatto breve per decisioni coraggiose. Ma c’è ancora un margine che si può forzare sulla via della pace e della riconciliazione. Nessun uomo della Provvidenza, ma una persona di grande sapienza politica, che sappia vedere oggi le cose belle di domani, anche per il popolo libico e per tutti i popoli del Mediterraneo.

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