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Libia: due passi avanti e uno indietro

di Bruno Cantamessa

- Fonte: Città Nuova

Bruno Cantamessa Autore Citta Nuova

Dopo il summit di Berlino di gennaio 2020, il cessate il fuoco di ottobre e le trattative in corso in varie sedi, il complesso cammino verso la ricomposizione del conflitto libico sembra complessivamente procedere, salvo prevedibili contestazioni e ostacoli.

Il generale libico Haftar, foto Ap.

Sabato 23 gennaio 2021 era la data concordata a Ginevra, nell’ambito del “cessate il fuoco” in Libia, per l’evacuazione del Paese da parte di forze straniere e mercenari. Ma nessuno si è mosso, anzi da alcune foto aeree sembrerebbe che i mercenari russi del Wagner group (segnalato da alcuni anni per interventi in Ucraina, Siria, Centrafrica, Venezuela, ecc.) stiano scavando una trincea fortificata da Sirte, sul Mediterraneo, alla base aerea di al-Jufrah, 280 Km all’interno.

Naturalmente il governo russo non è ufficialmente coinvolto, ma sostiene comunque Khalifa Haftar, il comandante dell’Esercito nazionale libico (Lna) di Bengasi, fino allo scorso anno in procinto di conquistare Tripoli, sede del governo riconosciuto dall’Onu (Gna) del premier Fayez al-Sarraj. Poi è successo che la Turchia si è alleata con Tripoli e ha inviato consistenti armamenti e truppe, anch’esse soprattutto mercenarie: si tratterebbe di jihadisti reclutati in Siria e trasferiti direttamente in Libia tramite navi ed aerei turchi. Il sostegno turco ha non solo permesso di bloccare l’avanzata delle truppe di Haftar, ma ha invertito le posizioni, e le milizie che sostengono al-Sarraj e il Gna hanno spezzato l’assedio e sono avanzate verso Est.

Naturalmente stiamo parlando di una vicenda complessa che va avanti da 10 anni, impossibile da sintetizzare, ma per rimanere nell’ambito degli “stranieri” coinvolti a vario titolo nel conflitto libico l’elenco non è breve, e comunque non ufficiale o in certi casi “ufficialmente” smentito.

Il sostegno militare turco alle milizie libiche del Gna di al-Sarraj è affiancato da un punto di vista economico dal Qatar: Tripoli, Ankara e Doha sono accumunate dalla vicinanza all’organizzazione dei Fratelli musulmani, diffusi in tutto il mondo islamico, non solo arabo.

Accanto ai dissidenti di Bengasi e all’Lna di Haftar ci sono, invece, Paesi arabi che si oppongono ai Fratelli musulmani, soprattutto Emirati Arabi Uniti, Egitto e Arabia Saudita. Ma i coinvolgimenti a sostegno di Haftar non finiscono certamente qui. A livello politico (ma fino a che punto solo politico, naturalmente non è dato sapere) c’è di mezzo la Russia (attraverso il Wagner group), ma anche in qualche modo la Tunisia (che fornirebbe appoggi logistici alle navi turche che trasportano armi destinate a Tripoli), e altri Paesi da cui provengono combattenti, come Sudan e Ciad, secondo fonti Onu.

Ci sono di mezzo, poi, almeno a livello politico, anche Paesi europei: la Francia (che sostiene Haftar) e l’Italia (che finora ha sostenuto al-Sarraj pur dialogando anche con Haftar). E si dice che ci siano altre “vicinanze” europee all’una o all’altra parte. Senza contare che la maggior parte delle armi usate nel conflitto sono di fabbricazione statunitense, russa e cinese, probabilmente fornite da intermediari e non direttamente, non si sa se in modo più o meno connivente.

Tra parentesi c’è il consistente problema delle armi fornite all’Egitto da Francia, Italia e Germania per centinaia di milioni di euro, ma, sempre ufficialmente, non si tratta di armi destinate alla Libia pur essendo l’Egitto il Paese attraverso molte armi raggiungono Bengasi e l’Lna.

Dopo l’accordo di “cessate il fuoco” concordato tra le parti nell’ottobre scorso, l’attuazione della road-map, affidata alla Missione di sostegno per la Libia delle Nu (Unsmil) guidata ad interim da Stephanie Williams, ha comunque fatto notevolissimi passi avanti verso l’obiettivo di arrivare a elezioni nazionali libiche (previste per il 24 dicembre 2021).

Un recente attacco al cammino intrapreso è arrivato da Tripoli Protection Force (una delle milizie che sostengono il Gna di Tripoli), che contesta l’operato della Williams appellandosi direttamente al segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, chiedendogli di correggere il percorso di Unsmil. Secondo la Williams, e non solo, si tratterebbe di un tentativo di arenare il processo avviato, che ha riscosso concreti consensi da ambo le parti libiche in dialogo, per difendere privilegi politici ed economici che gli accordi bilaterali potrebbero mettere in discussione.

Secondo alcuni osservatori internazionali, l’ipotesi di un organismo provvisorio unificato di governo con sede a Sirte (a metà strada fra Tripoli e Bengasi) e alcuni nomi concordati per comporlo non sarebbero graditi a qualcuna delle potenze “straniere” coinvolte.

Un bel ginepraio, insomma! Ma la cosa più importante è che la popolazione libica e i gruppi politici firmatari degli accordi continuino ad essere favorevoli, come finora hanno dimostrato, al processo di pace intrapreso.

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