Liberalizzare con moderazione e equilibrio

Un notaio commentail decreto del Governo e propone soluzioni alternative: concorsi più veloci per ricoprire le sedi vacanti, efficaci controlli sulle tariffe
Un notaio prepara un atto

È l’argomento del giorno, secondo una tipica moda italiana: quando c’è da discutere di qualche problematica stringente ( o resa tale da chi stabilisce l’agenda della comunicazione pubblica) lo si fa dappertutto, sui quotidiani, sui network e sulla rete, nei bar, al supermercato. Ed ecco la problematica della liberalizzazione delle professioni: una manovra appena delineata in una bozza di decreto governativo  (reperibile su Internet senza alcuna difficoltà), di certo non ancora definitiva, ma in ogni modo già chiaramente illustrativa degli scopi che la manovra intenderebbe perseguire, e cioè l’aumento della competizione professionale a seguito di una libera applicazione di tariffe e compensi e dall’abrogazione di tutti i tariffari professionali, sia minimi che massimi, a presunta tutela del cittadino.

 

Il ragionamento è semplice, quasi elementare: se si eliminano tutti i tariffari obbligatori e vincolanti per le professioni di taxisti, farmacisti e notai e questi sono messi in competizione reciproca, il cittadino potrà lucrare il trattamento economico più conveniente, scegliendo quello che più gli aggrada. Semplice a dirsi, forse un po’ meno a farsi, soprattutto se il beneficio economico rischia di essere soppiantato o annullato dalla precarietà della prestazione resa.

 

La prestazione di un professionista (quale che sia, medico, ingegnere, architetto, avvocato notaio) non è una merce, un prodotto pronto per il consumo; essa è spesso articolata in più fasi, deve assicurare un grado minimo di professionalità e a sua volta tale grado, sia pure minimo, richiede un’organizzazione e l’espletamento di un servizio basati su costi gestionali non comprimibili al di sotto di un certo livello, pena la qualità stessa del servizio reso. Il rischio insomma che, pur di risultare competitivi sul ‘mercato’, i professionisti si possano avvalere di organizzazione e cicli di produzione precari e non funzionali per l’ottenimento di risultati professionali (almeno) sufficienti e comunque soddisfacenti per il cittadino (risparmiando indebitamente sui costi di gestione) è alto.

 

A ciò si aggiunga un altro rischio per il cittadino: non potersi rendere conto -non avendo cognizioni adeguate – del livello tecnico della prestazione. Sicché l’irrisorietà del compenso richiesto potrebbe essere l’unico criterio (ahimè assolutamente inadeguato) per effettuare la scelta del professionista, tralasciando di considerare fattori attinenti piuttosto alla preparazione tecnica, alle capacità umano-professionali, alle attitudini relazionali, alla correttezza etica e comportamentale del professionista e alla obiettiva valutazione delle modalità stesse (più o meno complesse e quindi più o meno retribuite) con cui svolgere la prestazione richiesta.

 

E allora se veramente si vuole preservare il cittadino da iniqui trattamenti economici e quindi rimuovere quelle sgradevoli “incrostazioni” (così come l’Antitrust ha scritto in un documento trasmesso al Governo e ai presidenti di Camera e Senato di recente) che affliggono il mondo delle professioni, perché non pensare di istituire al contrario tariffe rigide, eque, trasparenti, facilmente comprensibili per l’uomo della strada, da Bolzano a Canicattì, cui i professionisti debbano attenersi obbligatoriamente? Perché non escogitare piuttosto sistemi efficienti di controllo sul giusto compenso a fronte delle prestazioni rese? La direzione è esattamente opposta a quella intrapresa dal Governo.

 

L’altra fondata e condivisibile esigenza sottesa alla manovra in discussione (e cioè quella di maggiori opportunità occupazionali con riferimento ad attività professionali funzionali alla tutela di interessi pubblici, delegate dallo Stato, come la professione notarile) va valutata con serenità ed assecondata con equilibrio e con ragionevolezza, tenendo presente che già allo stato sono più di un migliaio in tutta Italia le sedi notarili attualmente ancora scoperte, e ciò solo a causa della difficoltà del superamento da parte degli aspiranti notai di un concorso pubblico selettivo ed esigente, come è quello notarile e come è giusto che sia con riguardo alla delicatezza della funzione che gli aspiranti sono chiamati a ricoprire.

 

Sono da migliorare le tecniche di espletamento dei concorsi ed accelerare i tempi per la immissione in funzioni degli aspiranti vincitori di concorso, ma di certo non si potrà e dovrà pretendere di occupare le sedi notarili vacanti e quelle che si intende istituire, solo per una frenesia  di liberalizzazione a tutto campo, magari sminuendo la serietà delle selezioni. Questo potrebbe ritorcersi a danno dell’intera comunità civile.

 

Del resto ogni ipotesi di ampliamento di una professione (soprattutto se delegata dallo Stato) deve poter essere vagliata con serenità, tenendo conto del calo dell’attività professionale registrata in tutto il Paese negli ultimi anni, a causa della crisi finanziaria (soprattutto nei settori immobiliare e commerciale), con gravi rischi di stabilità e continuità occupazionale per gli attuali dipendenti.

 

Riformare sì, ma con ragionevolezza tenendo conto non solo delle innovazione ma della tutela di professionisti e cittadini.

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