Libano: il terzo botto di troppo

Com’è possibile spiegare l’ennesima esplosione-incendio nel centro di Beirut? Nascono sospetti fondati di dolo, non d’incuria
(AP Photo/Fadi Tawil)

Un monumento dell’architettura moderna, il centro commerciale al vecchio suq del centro della città progettato da Zaha Hadid, e ancora in costruzione, è stato colpito martedì 15 mattina da un incendio che è stato spento in un paio d’ore dai pompieri della capitale libanese, che da qualche tempo sono sottoposti a un incredibile stress, avendo tra il resto lasciato sul terreno alcune decine di agenti.

È la terza esplosione-incendio dal 4 agosto, giorno in cui il porto della capitale libanese aveva visto l’esplosione di un gigantesco deposito di nitrato di ammonio che aveva fatto danni nel raggio di 5 chilometri, lasciando sul terreno 200 morti e 7 mila feriti, con 6 mila abitazioni danneggiate. Il 10 settembre in effetti ha preso fuoco, si dice, un deposito di pneumatici ancora al porto, mentre ieri, 15 settembre, ha preso fuoco un edificio simbolo della rinascita del Paese dopo la guerra civile e quella del 2006.

Senza voler entrare nel caso della mega-esplosione del 4 agosto, viene da chiedersi come sia possibile che siano stati appiccati questi ultimi due incendi «per cause ancora sconosciute», quando le zone sono sotto l’occhio di centinaia di telecamere di sorveglianza e di satelliti, e quando tutto il centro della città di Beirut è occupato manu militari dalle forze di sicurezza. A voler essere cattivi, ma nemmeno troppo, viene il sospetto che le tre esplosioni siano collegate tra di loro, e che vi sia un disegno di destabilizzazione del Paese.

Difficile però ancora capire chi vuole questa crescente tensione nel Paese dei cedri. Se da una parte il sospetto ricade sulle forze politiche al governo (o piuttosto alle loro milizie) che si sentono messe alle strette dalla pressione della strada, iniziata lo scorso ottobre, e dall’iniziativa francese ed europea di pressione sulle autorità politiche per un governo di tecnici che sappia risolvere i problemi concreti della popolazione libanese, dall’altra verrebbe da dire che anche i nemici tradizionali del Libano – cioè i vicini del sud – avrebbero interesse a creare una nuova zona di incertezza visto che la Siria ormai si sta bene o male stabilizzando.

Ancora, c’è chi sostiene che il Libano è attualmente il luogo scelto dagli Stati Uniti e dai suoi alleati per combattere l’Iran, colpendo i suoi alleati di Hezbollah. Le dichiarazioni minacciose del segretario di Stato statunitense di ieri, Mike Pompeo, contro un presunto scambio di armi tra Iran ed Hezbollah, confermerebbe l’ipotesi di un nuovo terreno di scontro tra Trump e gli Ayatollah.

Sia come sia, Macron e i suoi alleati hanno visto giusto: solo una forte pressione internazionale potrebbe riuscire a cambiare una classe politica che ha raggiunto livelli di corruzione, malgoverno e impunità inimmaginabili. La strada deve continuare se si vuole che il Libano non cada di nuovo in una situazione di instabilità incontrollabile.

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