L’Europa in cerca di identità

Una riflessione sulle sfide del nostro continente a partire da un confronto con la situazione di altri Paesi dove, pur in mezzo a problemi, non manca la speranza del futuro

Mi trovo per alcuni giorni in un angolo del Kerala, nel sud India, abbastanza isolato, lontano da rumori e dalla congestione della vita quotidiana a cui siamo abituati, fatto apposta per pensare, riflettere e fare bilanci. Difficile non farli quando è il 31 dicembre. Un’altra pagina di storia, personale ma anche dell’uomo in generale, che si volta e che bene o male è stata scritta senza possibilità di correzioni.

 

Per questo mi vengono alcune riflessioni su quanto ho vissuto quest’anno, trecentosessantacinque giorni che mi hanno visto viaggiare soprattutto a Oriente ma non solo. Se ci ripenso, pochi giorni dopo l’anno nuovo 2016 sono partito per Dubai e a seguire per India, Taiwan, Filippine, Thailandia, Myanmar e, dopo una qualche sosta in Italia, ancora Cina e Corea, frammezzate da Turchia, Ukraina e Germania, e, poi, ancora Filippine per finire con Algeria, Svizzera, Inghilterra e, a conclusione, nuovamente India. Dappertutto, ho trovato novità, problemi, speranze, sfide.

 

Ma l’Europa è la parte di mondo che continuo a vedere immersa in problemi che non sembrano avere una soluzione. Negli altri angoli del mondo che ho visitato, e dove a volte ho vissuto per varie settimane, ho trovato giovani aperti al futuro con prospettive forse incerte per l’economia, ma comunque incoraggianti. I problemi economici sono dappertutto, compresi i Paesi asiatici dove, nonostante tutto, la crescita del PIL è positiva sebbene non manchino le sfide. Spesso sono endemiche, altre volte create dalla politica dei governi, come quella della demonetizzazione che sta attraversando l’India per scelte volute e fatte dal Primo Ministro Modi. Non si può negare che anche le Filippine stiano attraversando un momento delicato con il nuovo presidente, Rodrigo Duterte, che sembra voler risolvere certi problemi, soprattutto quelli legati al traffico e all’uso della droga, con squadroni che seminano la morte.

 

Per non parlare della Cina dove, a fronte di un governo forte ed apparentemente sicuro, non mancano contraddizioni evidenti a cominciare dall’inquinamento e dallo squilibrio ecologico creato da una economia in spaventosa crescita ma anche umanamente scriteriata. La stessa Algeria che vive momenti complessi per via della situazione interna, a livello politico, e della crescente islamizzazione di una società musulmana fino a qualche anno fa fiera della propria laicità, si presenta come un mondo alla ricerca di un suo futuro nell’ambito del mondo musulmano.

 

A fronte di questi aspetti, l’Europa mi pare sempre di più come un pezzo di umanità che cerca di rintanarsi nel suo buco incapace di cogliere le sfide di oggi perché sempre più anziana (di età) e sempre più priva di identità. E’ un mondo, una serie di popoli, immersi nella paura, come dice il sociologo francese Dominique Moïsi. Ci sono paure diverse, certo, ognuno ha la sua, ma quanto si legge sui giornali o si sente nei notiziari televisivi è solo fatto, impastato o prodotto dalla paura: dalle scelte dei politici alle reazioni di ognuno di noi nella vita quotidiana. In questi mesi sono stato chiamato varie volte a tenere corsi di dialogo interreligioso e interculturale in Asia, in nord-Africa e in Europa. Nel nostro continente, in Ukraina come in Inghilterra, in Svizzera come in diverse parti dell’Italia ho colto sempre e solo la paura come comun denominatore: quasi fosse diventato l’ethos caratterizzante il nostro continente. Ricordo una conferenza nella quale sono stato chiamato a parlare a circa 150 rappresentanti di un movimento cattolico su ‘Europa e Islam’. Si è trattato di uno dei momenti più complessi della mia vita. Mi sono trovato davanti – parlo soprattutto di coloro che animavano il pomeriggio in cui ero stato chiamato ad intervenire – persone spaventate, terrorizzate dall’Islam e quasi incapaci di leggere che una buona parte del problema stava nel primo elemento del titolo: l’Europa appunto.

 

Quello che manca all’Europa oggi è il coraggio della propria identità, che può essere scomoda ma che è essenziale se si vuole vivere in un mondo ormai interamente (e l’Europa è l’ultima a vivere il problema migratorio) multietnico, multiculturale e multi religioso. In questi giorni in India, mi ha fatto riflettere una festa in occasione del Natale organizzata dal cardinale di Mumbai per celebrare la nascita di Cristo con persone di altre tradizioni religiose. Ho trovato circa 200 persone: moltissimi cattolici, fra i quali il cardinale, ovviamente, i vescovi ausiliari, sacerdoti e suore e laici. Fra i leaders religiosi spiccavano un rabbino, un monaco indù del Ramakrishna Mission, una rappresentante dell’ordine monastico femminile indù delle Brahma kumaris, un imam, monaci di diverse tradizioni buddhiste, un dastur (sacerdote) zoroastriano, oltre a semplici fedeli di altre religioni invitati da alcuni cattolici. La serata è stata molto semplice, scandita da carrols, da un presepe vivente proposto da studentesse di due scuole superiori, con a seguire una tavola rotonda dove 7 rappresentanti delle rispettive religioni hanno presentato brevi riflessioni sulla figura di Gesù alla luce, in particolare quest’anno, dei diritti umani. Infine, un saluto da parte del cardinale che ha contestualizzato il Natale nella non semplice situazione attuale del Paese. Nel corso della serata nessuno ha nascosto la radice della sua fede.

 

Faceva impressione vedere la ricchezza di una società multiculturale, dove ognuno è se stesso e rispetta gli altri (ovviamente anche in India ci sono problemi e non pochi). Avevo lasciato l’Italia poche ore prima, in mezzo alle solite polemiche del periodo natalizio: fare o non fare il presepio? Come rispettare gli altri che non credono o che credono diversamente da noi? Si arriva a non fare la classica capanna natalizia per non ferire persone di altre fedi o che una fede non ce l’hanno. A Roma chi va a vedere il presepe di Trinità dei Monti, quest’anno trova un grande albero di Natale. In Europa, in Italia, mondo cristiano e, in particolare, cattolico il presepe divide; in India, società multiculturale a stragrande maggioranza indù, dove il pluralismo è ricchezza e non minaccia, il presepe unisce. Il laicismo (si badi che non parlo di sana laicità, ma di pericoloso laicismo, ormai atteggiamento settario di carattere fondamentalista sdoganato come atteggiamento moderno a cui il mondo intero dovrebbe adeguarsi per essere veramente intonato ai tempi), il laicismo europeo appunto non solo ha confinato il fatto religioso alla sfera prettamente privata, ma etichetta come retrogradi coloro che esprimono il loro credo, qualsiasi esso sia. Di più, si trincera sotto le false pretese di voler rispettare il diverso e così facendo ci ha cancellato la nostra identità. 

  

Il vero rispetto per l’altro sta nel dire chiaramente chi siamo ed accettare con altrettanta libertà e rispetto chi è diverso da noi per etnia, cultura e religione, riconoscendo che nel suo credere (come pure nel suo non credere) sta un aspetto fondamentale della dignità dell’uomo e della donna, soprattutto, in questi nostri giorni. Forse è questo che la nostra Europa deve recuperare per dimenticare le sue paure.

 

 

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