L’essenzialità dei riti della politica

Che sia il giuramento di un nuovo presidente statunitense o la fiducia a un governo italiano traballante, vedere le istituzioni di uno Stato all’opera fa bene. Nonostante tutto
Foto Roberto Monaldo / LaPresse La presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati

La politica, ovunque nel mondo, ha i suoi alti e i suoi bassi, i suoi momenti di esaltazione che si alternano ad altri di sconforto. Nelle ultime settimane ne abbiamo viste di tutti i colori: dall’assalto al Parlamento Usa alla crisi al buio di italica natura; dalle elezioni truccate in Burundi alle riunioni fittizie di parlamenti fittizi in democrazie fittizie.

Ma abbiamo altresì assistito a momenti di alta politica, come la cerimonia di insediamento del nuovo presidente Biden e della sua vice Harris – un po’ troppi abbracci, a dire il vero, in tempo di Covid – o anche quegli addetti del ministero degli Interni portoghese che, bardati come infermieri in reparti per le malattie infettive, si sono recati nelle case dei malati di coronavirus non per effettuare tamponi ma per ritirare schede elettorali.

E persino le lunghe discussioni alla Camera e al Senato italiani per la fiducia al governo Conte sono state seguite da milioni di persone, nonostante lo sconcerto che ha colpito la stragrande maggioranza degli italiani per una crisi minacciata in piena emergenza per la pandemia. Anche le brevi riunioni delle Camere britanniche per far fronte alla “variante inglese” e al numero eccessivo di morti per Covid-19 nel Regno Unito hanno toccato non pochi, dentro e fuori il regno di Elisabetta.

Numerosi riti cambiano di generazione in generazione, si modificano, trovano nuovi agganci con la realtà che muta. Se ne inventano di nuovi, formali come certe onorificenze statali, o informali come certe partite di calcio o lo shopping del weekend. La persona umana ha bisogno di riti che scandiscono il giorno, la settimana, il mese, l’anno, i 4 anni con le Olimpiadi, o la vita intera con i riti di iniziazione e di lutto. Anche se siamo degli anticonformisti radicali, anche se aboliamo un certo numero di riti, altrettanti ne creiamo.

Tra tutti quelli che scandiscono le nostre giornate, quelli della politica istituzionale sono probabilmente tra i più noiosi che esistano, con protocolli rigidi, ruoli immodificabili, tempistiche consolidatesi nel tempo, successi e sconfitte determinate da un numero in più o in meno. È il “gioco” della democrazia, che ci fa cittadini, e che ci fa sentire appartenenti a un consesso sociale particolare, più ancora che a un popolo o a un’etnia, perché anche nuovi entrati, nati altrove, possono identificarvisi e cominciare un vero processo di integrazione alla cittadinanza.

In tempi in cui anche dei presidenti mettono in dubbio regole inveterate, in cui dei politici vogliono forzare a loro favore le regole istituzionali e non accettano la sconfitta, costatare che i riti della politica resistono all’usura del tempo fa bene al cuore e alla mente. Viene in luce uno dei più grandi studiosi di riti, quale fu Mircea Eliade, il quale sosteneva che «trasformando tutti gli atti fisiologici in cerimonie, l’uomo arcaico si sforza di “passare oltre”, di proiettarsi oltre il tempo (del divenire), nell’eternità». Parole che ci toccano, soprattutto in tempi di pandemia.

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