Leonard Cohen: ultimo gigante

Uno scarno post sulla sua pagina Facebook ha annunciato la morte di uno dei più grandi poeti della musica popolare di questi ultimi cinquant’anni. Se n’è andato a 82 anni, senza far rumore così com’era vissuto, lasciando dietro di sé una serie di canzoni memorabili, e uno stile inimitabile
Cohen

Il suo ultimo album, You want it darker, era uscito appena qualche settimana fa: un’ultima riverenza seguita da un’ennesima standing ovation: giacché, manco a dirlo, s’era al cospetto di un indiscutibile capolavoro.

 

Con la sua voce suadente e tenebrosa, con quella sua sobrietà elegante, con quegli inarrivabili arabeschi di note e di parole, il vecchio Leonard ha dato fino all’ultimo l’impressione d’essere un’artista del tutto a sé stante, un alieno nel baluginante Barnum della subcultura rock. E tuttavia pochi come lui hanno saputo dar spessore e profondità ai propri travagli, alle nostre inquietudini, e alle aspirazioni più profonde di questo malandato pianeta. Tanto che a conti fatti, il Nobel lo avrebbe meritato almeno quanto Dylan e forse ancor più, visto che il suo approccio alla musica è sempre stato il più letterario di qualunque altro.

 

Non ha mai sbagliato un colpo, anche perché ogni suo ritorno discografico (solo 14 album spalmati in mezzo secolo di carriera) era concepito e rifinito con tempi e modi del tutto estranei alle nevrosi di quest’ambiente. E così è stato anche per quest’ultimo gioiello, un’opera al solito attraversata da una palpabile tensione mistica e religiosa (nella splendida canzone che apre e dà il titolo all’album c’è perfino la corale di una sinagoga), ma inabissandosi ancora una volta anche nelle oscurità del proprio cuore: cantando l’amore (da quello corrotto dall’egoismo a quello eternizzato dalle passioni più durevoli), ma anche la serenità nutrita da certe solitudini, la sua inesausta ricerca di un senso del vivere, e naturalmente, i sentimenti di chi sente l’imminenza del proprio capolinea.

 

Alcune delle sue ultime canzoni hanno già l’aura dei classici, esattamente come continueranno ad esserlo Suzanne, So long Marianne, Hallelujah, e tante altre ballads indimenticabili sulle quali sono cresciute generazioni di allievi, dal nostro De André a Nick Cave. E come tutti i grandi, fino all’ultimo Cohen è rimasto invariabilmente uguale a se stesso, ma nello stesso tempo, un artista capace di sorprenderci ed incantarci con sempre nuove suggestioni.

 

Pochi mesi fa aveva dato l’addio alla sua Marianne Ihlen, compagna e musa di una vita: mi piace pensare che da qualche parte si stiano finalmente godendo quella pienezza e quella pace che da questa parte del cielo si possono soltanto rincorrere.

 

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