Leader di tutto il mondo, unitevi

E' l'appello che tanti lanciano ai capi di Stato riuniti nella capitale danese. Perché ormai il tempo sta per scadere.
Copenhagen

Nevicava ieri a Copenhagen, ma la temperatura dei negoziati saliva. Mentre scrivo, gli accordi sui tagli alle emissioni sono ancora ad un punto di stallo. Dipendono dalla volontà dei leader del mondo di rimettersi sulla retta via nelle prossime 24 ore.

 

Mentre iniziava l’incontro al vertice con i ministri mercoledì pomeriggio, diverse personalità hanno fatto sentire la loro voce. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki–Moon, il primo ministro danese Rasmussen e il principe Carlo hanno tenuto i loro discorsi all’inizio del summit, ricordando ai ministri che questa è la grande opportunità per giungere ad un audace accordo sul clima. «Dipendiamo l’uno dall’altro – ha affermato il principe Carlo – e quindi dalle nostre reciproche azioni».

Anche Benedetto XVI ha affermato che un’azione concreta è più urgente che mai «di fronte ad una crescente crisi che sarebbe da irresponsabili non prendere seriamente». Il più piccolo Stato del mondo mira a costruire la più grande centrale solare d’Europa, fornendo elettricità a 40 mila abitazioni italiane.

 

A Copenhagen c’è pure il governatore della California, Arnold Schwarzenegger, che ha avuto l’agenda piena in questi giorni: un incontro con il governatore dello Stato brasiliano di San Paolo e possibile candidato alla presidenza, Jose Serra; un discorso al summit dei sindaci con il primo cittadino di New York Michael Bloomberg; un meeting con i leader politici dell’area amazzonica del Brasile, per seguire il loro impegno nel proteggere le foreste. Ha anche affermato che «i Paesi non possono risolvere da soli il problema del cambiamento climatico senza l’aiuto delle città, delle regioni, della società civile, degli scienziati e delle università». La California – l’ottava economia del mondo – mira a portare le emissioni di gas serra ai livelli del 1990 entro il 2020, con un taglio del 30 per cento. Si tratta del primo esempio a livello statale negli Stati Uniti.

 

I leader mondiali stanno lavorando anche a distanza. Questa settimana il primo ministro francese ha tenuto delle videoconferenze con i suoi omologhi in Germania e Regno Unito. Mentre il presidente brasiliano Lula, mentre era in viaggio, ha ricevuto una telefonata di Obama, e a sua volta ha chiamato i primi ministri di Francia e Regno Unito. Obiettivo: fare il punto della situazione delle negoziazioni e valutarne i possibili sviluppi.

 

Ma veniamo al sodo: i rappresentanti dei Paesi emergenti e il G77 – oltre 130 Stati – sono uniti nel chiedere ai Paesi sviluppati di attuare quanto previsto dal protocollo di Kyoto, e trasferire loro tecnologia e fondi per combattere il cambiamento climatico. Secondo l’agenzia Reuters, il primo ministro giapponese offrirà 10 miliardi di dollari – come l’Unione Europea – in fondi finanziari nei prossimi 3 anni. Mancherebbe quindi solo il 33 per cento dei 30 miliardi chiesti dal segretario esecutivo dell’Unffcc all’inizio della conferenza. Altri Paesi, come il Canada, gli Usa e l’Australia, probabilmente colmeranno il vuoto.

 

I disastri naturali, secondo il rappresentante svizzero intervenuto alla conferenza stampa della Munich climate insurancei initiative, sono il doppio rispetto al 1980. Il rappresentante della sezione Onu per la riduzione del rischio di catastrofi ha affermato che nel 2009 sono state colpite da calamità naturali legate a condizioni meteorologiche estreme ben 55 milioni di persone, per 15 miliardi di dollari di danni. Nelle bozze di accordo è previsto che le compagnie di assicurazione aiutino i fornitori di micro polizze nei Paesi in via di sviluppo.

 

Ma il mondo deve trovare un punto d’incontro entro questa settimana. Sono circa 120 i leader arrivati a Copenhagen. Nelle prossime ore decideranno se mantenere lo status quo o raggiungere un compromesso sufficientemente ambizioso da mitigare l’incremento delle temperature.

 

Quindi ora il cambiamento di prospettive dipende dall’unità dei leader mondiali. La società civile e l’opinione pubblica sostengono attivamente questo cambiamento. L’immagine che più rimane è quella di alcune ragazzine delle isole del Pacifico, arrivate a Copenhagen in rappresentanza di tutte quelle persone che vivono in aree che verranno sommerse dalle acque in seguito ad un aumento della temperatura di un grado e mezzo. Maylen Sese, delle isole Salomone, ha dichiarato: «Per me il cambiamento climatico significa perdere la mia isola». E Maylen, come tutti, ha bisogno di un futuro.

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