Le visioni di Ildegarda

Nuova edizione dei messaggi profetici della santa badessa di Bingen, ultimo dottore della Chiesa

Di Ildegarda di Bingen, monaca benedettina del Medioevo tedesco canonizzata e dichiarata dottore della Chiesa da Benedetto XVI nel maggio 2012, non sapevo gran che. A farmela scoprire è stato un libro edito da Città Nuova in quello stesso anno, Ildegarda. La potenza e la grazia, dove è lei stessa – immagina l’autrice Lucia Tancredi – a prendere la parola e a raccontare la sua straordinaria esperienza mistica. Nell’intervista fattale per l’occasione, la Tancredi manifestava soddisfazione per il riconoscimento papale «ad una donna i cui documenti, libri e testimonianze, già nel secolo successivo a quello della sua morte avvenuta nel 1179, erano guardati con sospetto e diffidenza. Ad una donna, all’epoca, bastava molto poco per essere accusata di stregoneria: vivere sola, erborizzare, coltivare la lettura… Lei poi non amava la spiritualità improntata al concetto di colpa e le mortificazioni (ne aveva già tante per le sue malattie). Fondava da sola i suoi monasteri, vestiva le sue monache di verde, non recideva loro i capelli, lasciava che si abbigliassero di perle e di fiori, perché non avessero vergogna della loro bellezza e giovinezza. Aveva coniato una parola, viriditas, a significare il rigoglio sempre verde della natura e la verginità come fedeltà di ogni donna a sé stessa.

Ildegarda – continuava la scrittrice – aveva disposto che le sue monache studiassero, scrivessero, miniassero, si muovessero in figura di danza e soprattutto cantassero la musica che scriveva per loro. Aveva un grande talento per la felicità. Aveva elaborato un metodo di guarigione naturale, persuasa che per giungere a Dio bisognava essere anche in buona salute. È evidente che tanta libertà in una donna risultasse destabilizzante e pericolosa: questo il motivo di tanto silenzio sceso su di lei e su gran parte della sua opera. Serviva un papa tedesco che non solo la confermasse come santa, ma le concedesse il titolo più prestigioso: quello di dottore della Chiesa, riconoscendo così la sua autorità intellettuale e l’alto magistero del suo insegnamento».

Il perché di una biografia: «Quando mi arrivò la proposta di una biografia di Ildegarda, di lei non sapevo quasi nulla e all’inizio rifiutai: consultare la mole di fonti che la riguardano era una fatica da cui volevo tirarmi fuori. Succedeva, invece, che dovunque mi volgessi vedevo il suo nome o la ritrovassi nei libri. Senza accorgermene, ero già dentro il lavoro. Ildegarda aveva dettato o ispirato la sua biografia solo a segretari uomini come Gottfried e Wilbert di Gembloux, e successivamente a Teodorico di Ecternach. Nel mio caso, ho immaginato che avesse potuto dettare quella più intima e privata ad una delle sue pupille come Adelheidis, futura badessa di Gandersheim, rimastale accanto fino alla morte. Forse in Adelheidis ho voluto adombrare anche me stessa. Anche io sono stata una specie di scriba, un vaso per le sue parole».

Il pensiero della Tancredi sulle mistiche: «All’inizio sembrano distanti, assorte nelle loro vite tanto diverse dalle nostre esistenze aggrovigliate e distratte. Poi, a poco a poco, si installano dentro di noi, diventano nostre coinquiline, amiche, sorelle, complici di quella doppia cittadinanza con la quale si configura spesso la vita di una donna: quella esteriore dedita agli altri e quella nascosta nella quale ognuna deve fare i conti con il suo excessus, con la sua potenza. Le mistiche lo sanno bene che le donne non sono quiete, timorate, paghe dei loro limiti. Le donne sono sempre sbilanciate verso l’amore. Le mistiche dovrebbero diventare icone della modernità. Da Caterina di Siena a Teresa d’Avila a Ildegarda, tutte hanno caratteristiche comuni: erano costrette dentro ruoli, regole, muri o ginecei, spesso malate – o, come avrebbe detto Freud, isteriche –, eppure sfidavano il mondo, fondavano monasteri, viaggiavano, parlavano alla pari con papi e imperatori. Soprattutto, cercavano l’anima attraverso il corpo. Oggi noi donne pensiamo di sapere tutto sul corpo: lo veliamo e lo sveliamo, lo vendiamo e lo patiniamo, lo scolpiamo con il bisturi, ma del corpo non sappiamo nulla. Ildegarda parla del corpo non come una materia opaca, ma come qualcosa che può essere soffiato, travolto da vortici di energia, guarire, farsi calco del corpo stesso del mondo. La bella profezia della badessa di Bingen è quella di un uomo fatto di luce, capace di tenersi fedele agli insegnamenti di giustizia e di convertire il ferro delle armi in strumenti per avvicinarsi alla terra».

Così si concludeva l’intervista: «La grazia specialissima che mi ha fatto Ildegarda è quella della scrittura. Mi capitava al mattino di arrivare a scuola in ritardo, tenere le mie lezioni, correre a prendere il bambino, tirare il carrello di un supermercato… ma una parte di me rimaneva ancora dentro la pagina scritta appena sveglia, nel silenzio della casa: Ildegarda di sera, nel mio studiolo attorno ad un braciere insieme al segretario Volmar e alla fedelissima Richardis mentre scrive o compone musica; ogni tanto giunge dal bosco vicino il verso di un gufo o il trascorrere lontano di un branco di daini e, in quel guscio felpato, questi suoni della Natura procurano un’acuta sensazione di esistere, in grazia di Dio».

Ma quali sono le lezioni di fede e di spiritualità impartite da questa monaca colta, definita dai contemporanei la “sibilla renana” e – fatto inaudito –autorizzata da un papa, Eugenio III, a predicare e insegnare? Le troviamo nelle sue tre opere principali – Scivias o Tre libri di visioni, Libro dei meriti della vita, Libro delle opere divine – ora riunite in un unico volume edito da Castelvecchi col semplice titolo Visioni, lo stesso del film del 2009 sul personaggio diretto da Margarethe von Trotta. Curatrice dell’opera e anche traduttrice in lingua italiana dai testi in latino, il latino del XII secolo, è la professoressa Anna Maria Sciacca, profonda conoscitrice di Ildegarda, a cui si deve anche, nella sezione introduttiva e nelle introduzioni ai singoli libri, una presentazione del linguaggio simbolico attraverso il quale Ildegarda tentò di descrivere le sue visioni profetiche e divulgarne il messaggio. Senza questa decifrazione attenta, dettagliata, puntuale, potrebbe sfuggirci il significato profondo e attuale delle sue opere: un appello alla trasformazione in regno di Dio di ogni ambito della vita umana, soprattutto quello ecclesiale.

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