Le tute blu di Pirozzi, tra il reale e l’onirico

Il dramma del lavoro che non c'è mette a rischio amicizie ed equilibri. La prima della sera ricorda Beckett per l'originalità espressiva e le evocazioni di personaggi nell'ombra
Teatro

Sembrano fuoriusciti dal recinto umano di Beckett per trovare rifugio in una desolata terra di nessuno. Un lembo di mondo da dove lanciare il loro grido alla vita. Teneri, buffi, assurdi nella loro intrinseca verità di esseri reali, i due operai di La prima della sera scaturiti dalla mente di Armando Pirozzi, possiedono una consistenza sociale senza tempo, e quindi pienamente dell’oggi. Dentro un quadrato di luce che circoscrive lo spazio squallido di una stanza con pochi oggetti,  i due personaggi vivono una convivenza forzata. Che mette in crisi la loro stabilità mentale e il rapporto d’amicizia.

 

Emigrati per una falsa garanzia di lavoro, si ritrovano bloccati in un luogo freddo e senza i mezzi per poter ritornare nel loro paese. In questa situazione paralizzante, di abbrutimento e sconforto, che genera diffidenza reciproca e rabbia, essi sopravvivono grazie all’aiuto di una gentile vicina, solo evocata. Diversi e complementari, hanno però bisogno l’uno dell’altro per sostenersi.

 

Emerge, in cinque divertenti e tragici brevi quadri, la difficoltà di resistere alla tentazione di abbandonarsi alla latente violenza generata dalla condizione di estrema indigenza in cui sono costretti. Alla rabbia di uno dei due che reagisce rapinando proprio la vicina, fa da contraltare la pacatezza dell’altro in perenne stato febbrile. Tormentato da visioni, quest’ultimo, per non lasciarsi sopraffare da un sentimento disumanizzante e sostenuto dalla nostalgia di un amore lontano tenuto vivo dall’attesa di messaggi al cellulare scarico, egli reagisce cantando Là ci darem la mano. L’iniziale disappunto del collega, che evita di farsi trascinare nel canto, si scioglie lentamente fino a farsi involontariamente coinvolgere, provocandogli un’inarrestabile trasformazione. Fino ad usare i soldi rubati per aiutare l’amico a tornare a casa. È la forza di questo piccolo gesto a rinforzare la loro dignità di uomini.

 

La prima della sera si rivela un testo folgorante per la capacità di sintesi espressiva che attinge con mano libera, oltre che al teatro dell’assurdo, alla commedia dell’arte, al cinema muto e all’universo fumettistico. L’autore e regista napoletano penetra nelle pieghe dell’animo umano con un’originalità di scrittura rara, che contiene all’interno un ritmo drammaturgico teso e compatto.

 

E una morale che trapela dalle azioni: la solidarietà disinteressata tra gli uomini, l’unico "prodigio" che si può desiderare in un mondo di sopraffazione. Pirozzi dosa le pause e gli affondi come in una partita di scherma. Per colpire improvvisamente nel punto scoperto. Gli assalti sono le parole. Quelle che si scaricano o, semplicemente, si porgono ciascuno a modo suo, sempre per disperazione, i due protagonisti. L’uno con delicatezza, l’altro con irruenza. E la esprimono con differenti e appropriati registri vocali i due bravissimi attori, Michelangelo Dalisi e Diego Sepe, che sanno restituire, anche nelle movenze e nella mimica, tutta una gamma di sfumature dall’umore beckettiano.

 

 

“La prima della sera”, testo e regia Armando Pirozzi, con Diego Sepe e Michelangelo Dalisi, aiuto regia Luigi Sauro, luci Davood Kheradmand. Alla Sala Uno di Roma.

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