Le tane fiscali

Nuova lista dell’Unione di nazioni dove le tasse le si pagano meno che altrove. Non sono comprese Irlanda, Olanda, Malta, Lussemburgo e Cipro. I paradisi fiscali nel cuore dell’Ue – afferma Oxfam – raccolgono oltre un terzo dei 600 miliardi di dollari che le multinazionali hanno trasferito nei paradisi fiscali nel 2015. L’evasione e l’elusione fiscale delle grandi aziende ha fatto sì che Francia, Spagna, Italia e Germania non incassassero circa 35 mila milioni di euro di tasse

 

Sembra che l’espressione “paradiso fiscale” sia un semplice errore di traduzione. Interpretando erroneamente l’originale inglese tax haven (e haven si può tradurre come “porto”, “rifugio” o “asilo”), qualcuno ha capito invece heaven, cioè “paradiso”, ma la sua interpretazione ha avuto incredibile successo. Di solito in questo modo talvolta errato entrano a far parte della lingua comune i nuovi termini e le nuove espressioni. Che si chiami “rifugio”, però, sembrerebbe più adatto di “paradiso”, se restiamo ancorati al concetto sottostante. Tra le tante definizioni che si leggono in giro, forse quelle che puntano sul significato di “tana” si avvicinano di più alla realtà. Sì, perché dalle tante “tane fiscali” oggi esistenti nel mondo si cerca di far uscire i soldi ivi “nascosti” da persone o società che non hanno scrupoli nel praticare sia l’evasione sia l’elusione fiscale.

Di solito pensiamo a questi posti come a piccoli Paesi e altri territori che mediante questi meccanismi attirano ricchezza straniera. In tanti casi sono in effetti “paradisiache” isole dei Caraibi e del Pacifico. Ma c’è di più, e sono tanti. Due anni fa l’Unione europea rese pubblica la sua prima lista nera dei paradisi fiscali. Prima ogni Paese ne adoperava una propria, ma ci voleva un certo sforzo per mettersi d’accordo. Quella lista, però, uscì condizionata da criteri politici, a dire degli esperti in materia. Difatti, accanto alla lista nera ve n’era un’altra invece piuttosto grigia, composta da oltre 40 Paesi ai quali si consigliava di riesaminare la propria conformità con la trasparenza, le giuste tasse o le misure contro l’elusione fiscale che si erano impegnati a rispettare. José María Mollinedo, tecnico del Ministero delle finanze spagnolo, denunciava allora che quella lista nera «non riflette i Paesi i cui regimi fiscali danneggiano le basi imponibili dell’imposta sulle società del resto degli Stati membri dell’Ue, causando milioni di perdite, com’è il caso dei Paesi Bassi, dell’Irlanda o del Lussemburgo».

L’Ue prevede pubblicare la settimana prossima una nuova lista nera e aggiornata dei paradisi fiscali, e di nuovo si sono alzate voci critiche contro i criteri di elaborazione. È il caso dell’ong Oxfam, che proprio ieri ha presentato il suo ultimo rapporto sui paradisi fiscali. Tra le diverse osservazioni del report, sorprende la coincidenza con quelle di Mollinedo di due anni fa, e denuncia come nella lista non ci saranno cinque Paesi comunitari: Malta e Cipro oltre ai tre precedenti. «I paradisi fiscali nel cuore dell’Ue – afferma Oxfam – raccolgono oltre un terzo dei 600 miliardi di dollari che le multinazionali hanno trasferito nei paradisi fiscali nel 2015». E aggiunge: «L’evasione e l’elusione fiscale delle grandi aziende ha fatto sì che Francia, Spagna, Italia e Germania non incassassero circa 35 mila milioni di euro di tasse». Johan Langeroc, autore del rapporto, assicura che «l’Ue impone le sue regole al mondo esterno, ma all’interno dell’Ue ci sono molte pratiche fiscali dannose che sono tuttavia legittimate».

 

 

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