Le stragi e le leggi sulle armi

Dietro alle migliaia di morti che ogni anno insanguinano le strade statunitensi, bisogna conoscere il lavoro delle lobby, così come quello di coloro che cercano di cambiare le normative

Sono trascorsi 6 giorni dal massacro nella chiesa battista di Sutherland Springs. Sotto i colpi di un fucile automatico nelle mani di Devin P. Kelley sono morte 27 persone che pregavano una domenica mattina qualunque, in una piccola cittadina texana. Ne sono trascorsi 40 dall’eccidio di Las Vegas quando a morire furono 59 spettatori del festival di musica country. Altri 441 furono i feriti. In questo arco di tempo negli Usa ci sono state altre 34 sparatorie con 29 vittime. I numeri ancora una volta sottolineano l’ineluttabilità di un fenomeno come quello delle morti per il possesso di armi da fuoco, a cui il governo non riesce a metter fine.

Solo nel 2017 secondo Gun Violence Archive sono morte 13.324 persone e ne sono state ferite quasi 28 mila. Tra questi oltre 3.200 sono bambini e adolescenti. La media è di 8 persone al giorno. L’archivio contiene la dinamica di ogni assassinio e, dopo averne sfogliato delle pagine, l’ordinaria e insensata normalità della violenza suscita ribellione. In quelle pagine ci sono gli assassinii della chiesa di Charleston, del night club di Orlando, della scuola di Sandy Hook. La domanda che continua a perpetrarsi dopo ogni eccidio è: «Perché non si riesce a mettere uno stop?». E la risposta politica è che «l’emotività non può guidare le decisioni». Un appunto plausibile, ma dalla morte dei 26 bambini delle scuola elementare Sandy Hook sono trascorsi 1.793 giorni, un tempo sufficiente per valutare con ragionevolezza un cambiamento di quello che nel mondo viene additato come la causa principale di queste morti: il secondo emendamento della Costituzione Usa che considera diritto inviolabile del cittadino il possesso di un’arma. Negli Usa, su 100 abitanti, 89 ne hanno almeno una in casa: il totale è di circa 300 milioni di armi in circolazione, il cui possesso è garantito dalla legge.

La storia. Il secondo emendamento appartiene alla serie di norme note come “Bill of the Rights” approvate a margine della costituzione nel 1791. La parola “emendamento” significa correzione e nel corso degli anni gli Stati Uniti di queste correzioni ne hanno introdotte ben 27, tra queste l’abolizione della schiavitù, la concessione del voto alle donne e un’ultima che, introdotta nel 1992, limita gli stipendi ai membri del Congresso. Il secondo emendamento recita: «Essendo necessaria, alla sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben regolamentata, non potrà essere infranto il diritto dei cittadini di detenere e portare armi». Nella sua formulazione originaria non vengono precisate le tipologie di armi e il numero, mentre si indica chiaramente la finalità: la sicurezza dello Stato. Dopo che i nascenti Stati Uniti si trovarono a fronteggiare la guerra di indipendenza, i padri fondatori decisero che avere un esercito era molto rischioso poiché i militari, professionisti delle armi, avrebbero potuto opprimere le persone e quindi era bene avere delle milizie composte da civili ordinari che fornivano le proprie armi e dopo un breve periodo di formazione potevano affrontare una battaglia, qualora la difesa dello Stato lo esigesse. Questo spiega perché ancora oggi il presidente è il commander delle forze armate: è cioè un civile che guida dei militari.

Cosa è successo nel tempo? L’emendamento che consente il possesso di armi per essere attuato, un po’ come i princìpi della nostra Costituzione, necessità di leggi definite e queste leggi vengono promulgate da ogni singolo Stato, a fronte di alcune norme federali valide per tutti. Per cui negli Usa abbiamo una legislazione estremamente permissiva sulla licenza e il possesso di armi in Wyoming, Alaska, Alabama, Arizona… mentre norme più restrittive si hanno in Massachusetts, Hawaii, California, Illinois, New York.

Inoltre la NRA (National Rifle Associaton) la potente associazione-lobby delle armi che negli Usa conta oltre 5 milioni di membri, continua a sostenere programmi per il potenziamento della sicurezza delle armi, che si traducono di fatto in norme che approvano ad esempio l’utilizzo di armi automatiche o di dispositivi che trasformano armi comuni in armi d’assalto: è questo il caso delle uccisioni di massa di Las Vegas e Sutherland Springs. L’associazione è riuscita, nel tempo, a dare un’identità sociale ai possessori di armi e molti di questi sono politici e siedono oggi tra gli scranni repubblicani del Congresso. Una recente inchiesta del Washington post ha svelato che l’associazione ha versato milioni di dollari per finanziare le campagne elettorali e ha sostenuto l’ordine esecutivo con cui il presidente Trump all’inizio del suo mandato ha abolito la norma per cui chi ha un disagio mentale anche debole non può possedere armi.

Nulla cambia? Non proprio. Alcuni giovani congressisti ed ex-veterani ora deputati hanno cominciato ad aprire spiragli di dialogo che attraversano gli schieramenti politici. Uno dei punti di discussione è quello di impedire la vendita del bump-stock, il dispositivo che trasforma le armi semi-automatiche o quelle comuni in armi automatiche. Altro punto è regolamentare le vendite con controlli serrati sulla salute degli acquirenti e con licenze più ristrettive. Dopo la strage di Las Vegas, 9 americani su 10 hanno chiesto modifiche alle leggi sull’acquisto e l’uso delle armi e anche il 65% degli aderenti alla NRA stanno chiedendo una differente disciplina che rispetti l’emendamento ma che nel contempo tuteli la salute pubblica. Quest’ultimo espediente sembra il tema che ha avuto più presa nell’opinione pubblica americana, poiché in questo momento un cittadino Usa ha il 51% di probabilità di essere ucciso da un’arma da fuoco più che da una malattia. Questa possibilità è la più alta rispetto agli abitanti di qualunque altra regione del pianeta.

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