Le nuove sfide globali: fraternità universale e pace santa

Perché un giovane decide di aderire e combattere per lo Stato islamico? Forse perché vuole dare, in qualche modo, senso alla propria vita. Ma alternative valide alla violenza e al terrorismo ci sono: tolleranza, dialogo e apertura agli altri come il carisma di Chiara Lubich cerca di fare in tutto il mondo
Egitto - Porto Said

«È possibile un mondo di popoli liberi, uguali, uniti? Non solo è possibile, ma è il fine stesso della politica, che terrorismo, guerre, ingiustizie e disuguaglianze sembrano mettere in discussione». Eppure, è finito il tempo delle "guerre sante". «La guerra non è mai santa, e non lo è mai stata. Solo la pace è veramente santa».

Potrà sembrare strano, se non impossibile, ma di guerra e pace sante e di fraternità universale, si è parlato nel Parlamento italiano, il 12 marzo scorso, nell'ambito del convegno "Chiara Lubich: l'unità e la politica", il primo dei tanti eventi organizzati, nel mondo, per ricordare la fondatrice dei Focolari a 7 anni dalla sua scomparsa.

Nell'aula dei gruppi parlamentari di Montecitorio si è discusso della necessità, anzi dell'urgenza, di una nuova globalizzazione, che invece di voler estendere a tutto il globo uno specifico modello economico e politico, punti invece alla costruzione di un mondo più fraterno ed unito. Un'utopia? Forse no, ascoltando Damien Kattar, già ministro delle Finanze del Libano, che ha portato la sua testimonianza dal cuore della crisi che si sta vivendo in Medio Oriente.

In un mondo in cui le speranze dei giovani appaiono sempre più disilluse e le loro speranze nel futuro sono sempre meno rosee, Kattar si è chiesto cosa sia rimasto, oggi, della primavera araba di quattro anni fa. Attualmente, ha spiegato, i giovani sono totalmente esclusi dalla vita politica e nei Paesi in cui si invocava una maggiore libertà, oggi sono al governo dei regimi per i quali il principio della fraternità non può nemmeno varcare la porta di accesso al Parlamento.

Cosa fare, allora? Perdere le speranze? Rinunciare? Tutt'altro! Bisogna ripartire dalla dignità umana, ma anche dalle buone pratiche tuttora esistenti, come ad esempio in Libano, dove, nonostante le difficoltà di formare un governo, il presidente è un cristiano, mentre le altre cariche dello Stato sono ricoperte da musulmani, che rappresentano anche la maggior parte del Paese. Un interessante modello di accoglienza, convinvenza pacifica e di tolleranza. Ma anche di rispetto, perché non si può pretendere di guardare, con occhi occidentali, ai Paesi arabi giudicandoli in termini di ordine (e pensare che allora quel governo funziona) o di mancanza di ordine.

Bisogna dunque ripartire da chi ci sta vicino. Dall'altro da noi. Altro da intendere, spiega Leonardo Becchetti, docente di Economia politica all'Università di Tor Vergata, non come un rivale, ma come colui senza il quale – per il mio bisogno relazionale – non posso essere felice. Perché, ad esempio, si è chiesto Becchetti, un giovane decide di aderire allo Stato Islamico (Isis)? Forse perché avverte un vuoto di senso così forte che ha la tentazione di trovare senso anche in cose terribili. Questa, tuttavia, non può essere la risposta al desiderio di impegnarsi.

Per un futuro di pace, sottolinea Pasquale Ferrara, segretario generale dell'Istituto universitario europeo e coordinatore dell'ultima sessione del convegno, dal titolo "Tra globale e unversale", c'è bisogno di rimettere in moto l'idea di pace e di fraternità come categoria politiche, di considerarle il centro imprescindibile per una convinvenza comune. Non si tratta, ha sottolineato Ferrara, di un progetto utopico, ma realistico, urgente e necessario.

Diversamente rispetto al passato, non c'è nessuno Stato, nessuna potenza che, al momento, possa vantare una egemonia sul resto del mondo. Ciò di cui si ha bisogno adesso, per Ferrara, è che il mondo sia di tutti, ma questo può diventare possibile solo se si riuscirà a declinare politicamente la fraternità.

Ecco allora che diventa necessario un nuovo patto fondativo, articolato a partire proprio dalla fraternità. In tale prospettiva, l'evento romano dedicato a Chiara Lubich è solo un primo passo. Ora c'è bisogno di ascolto, di dialogo. Ma soprattutto c'è bisogno di "ingaggiarsi"; dall'inglese "engagement", di impegnarsi, di mettersi in gioco per far sì che l'impegno a realizzare la fraternità universale possa diventare una prospettiva sempre più corale e comunitaria.

Il concetto di fraternità, del resto, ha spiegato Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia politica all'Ius Sophia, se non ideologizzato, è accettato da tutte le religioni, così come lo era Chiara Lubich, che pur non facendo mistero dell'ispirazione religiosa del suo messaggio, era accolta e accettata da tutti coloro che incontrava.

La fraternità, se intesa non nella dimensione privata, ma in quella sociale, può essere davvero considerata, secondo Maria Rosaria Manieri, docente di Filosofia morale all'Università del Salento, il principio fondativo della convivenza civile. Essa dà luogo ad azioni non solo meritorie, ma doverose nei confronti degli altri e consente la creazione di rapporti sociali che basandosi sul riconoscimento di un'uguale dignità tra le persone, si salda fortemente con la libertà e l'uguaglianza, gli altri due principi alla base del programma politico della modernità.

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