Le “Lettere di Paolo” e Chiara Lubich

Due domande Gérard Rossé, autore di "Rivisitare il Paradiso '49 di Chiara Lubich alla luce della Lettera agli Efesini"*
Chiara Lubich

Dio “sotto le cose”

Nella prima parte del suo studio comparativo sulla Lettera agli Efesini e il Paradiso ’49 di Chiara Lubich (NU 183-184, pp. 351-375), lei dedica un’ampia sezione alla dimensione cosmica della creazione e della redenzione (creazione-salvezza-escaton), presente, con le rispettive sfumature, sia nel testo paolino che in quello di Chiara. Nel suo racconto, Chiara scrive che, prima dell’entrata nel Seno del Padre, vedeva «le cose, i fiumi, le piante, i prati, le erbe, fra loro legati da un legame d’amore nel quale ognuno aveva un perché d’amore verso gli altri», quasi, cioè, che percepisse Dio sotto le cose; le chiedo: c’è un legame tra questa esperienza di Chiara e quanto scrive la Lettera ai Colossesi, sul «tutto sussiste in lui»?

 

«Non vedo un legame diretto, anche se, trattandosi della relazione di Dio con il creato, si può sempre trovare un collegamento visto che la concezione fondamentale di fede è simile tra Chiara e gli scritti del Nuovo Testamento.

In Chiara si tratta di una esperienza spirituale o mistica nella quale ella percepisce sotto le cose la Legge di Dio, l’amore, che dà significato alle molteplici relazioni tra le cose del creato.

La lettera ai Colossesi esprime una concezione sapienziale, implicita in Chiara, ma di stampo cristologico. Essa probabilmente presuppone la visione stoica che vede il cosmo come un Tutto, un grande Corpo, costituito da elementi mantenuti insieme da un principio unificatore divino. Per il filosofo ebraico Filone, questo principio è il Logos; per la letteratura sapienziale è lo Spirito di Dio (Sap. 1,7) o la parola di Dio (Sir 43,26). Nell’ambito cristiano, testimoniato dalla lettera ai Colossesi, la funzione unificatrice è attribuita a Cristo; egli è la Testa del cosmo, il Riconciliatore universale (1,20). Egli dà coesione all’insieme, preserva il cosmo dal caos, dal disgregarsi.

In Chiara viene piuttosto in luce la relazione d’amore tra le cose del creato, più che la causa della loro coesione. Ovviamente le due visioni non si contraddicono. E comunque, in un modo o nell’altro, Chiara dipende dagli scritti del Nuovo Testamento».

 

“Santi e immacolati nell’amore”

Potrebbe approfondire l’esigenza paolina dell’ «esser santi e immacolati nell’amore» con l’ “immacolatizzazione” proposta da Chiara? È la stessa realtà espressa poeticamente da Chiara stessa al termine del noto scritto, che ha per protagonista Maria, Perché la voglio rivedere in te: «anche se non siete immacolati, il mio amore vi verginizzerà»?

 

« “Santi e immacolati nell’amore” si legge in Ef 1,4 (che si ispira nell’espressione a Col 1,22): è la vocazione alla quale tutti i credenti sono chiamati.

La santità suppone separazione (dal mondo del peccato) e appartenenza a Dio. L’essere immacolati si riferisce ad una condotta etica irreprensibile (proviene dalla terminologia sacrificale: l’animale senza difetti, idoneo al sacrificio); e questa immacolatizzazione si attua nell’amore vissuto. Essa presuppone l’immacolatizzazione avvenuta nel battesimo (cf. Ef 5,27) e si realizza nell’esistenza in modo permanente “sotto lo sguardo di Dio”.

Mi pare che in Chiara l’espressione più che alludere all’esistenza quotidiana vissuta moralmente bene, si riferisce a tale realtà ma vissuta nella perfezione che le viene dall’unità. E’ in fondo la piena realizzazione della condotta nell’”amore”, ma dove tale amore vissuto raggiunge il suo compimento nella reciprocità, quando nel non-essere/essere dell’agape si entra nella dimensione dell’unità: “come tu in me e io in te” (Gv 17,21)».

 

 

* Le domande si riferiscono all’articolo: Rivisitare il Paradiso ’49 di Chiara Lubich alla luce della Lettera agli Efesini – II. La filiazione divina – Il Padre, "Nuova Umanità" XXXI (4-5/2009)184-185, pp. 499-520.

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