Le armi e i migranti delle guerre

Nel giorno della marcia della pace è giuta la notizia delll’apertura dell’inchiesta giudiziaria sulla vendita delle armi alla coalizione saudita che bombarda lo Yemen 
marcia assisi

La marcia della pace (e della fraternità come si è aggiunto di recente) Perugia Assisi attira sempre tante persone di ogni genere. Difficile rappresentare tale popolo con un solo pensiero, nonostante i discorsi ufficiali da palco ed infatti è una realtà che manca di rappresentanza oppure ne ha troppe.

 

Anche l’edizione 2016, che ha visto anche una significativa presenza dai paesi terremotati del Centro Italia, ha radunato circa centomila persone giunte da tutta Italia per compiere quel tratto di strada tra Perugia Assisi che, nel Duecento, Francesco, figlio di Pietro da  Bernardone, percorse dopo aver conosciuto la ferocia della guerra e la triste prigionia nella città nemica.

 

Oggi, mentre la città di Aleppo in Siria rappresenta il fallimento della comunità internazionale, incapace di fermare un massacro procurato da prevalenti interessi esterni, e la coalizione saudita scarica sullo Yemen bombe di fabbricazione anche italiana, il radunarsi di tanta gente festosa sembra confermare la critica di chi vi intravede un pacifismo alleato dell’indifferenza che dichiara di contrastare. Ma entriamo dentro questa contraddizione. 

 

Cosa rimane nel primo pomeriggio di questa domenica, quando le delegazioni dei tanti comuni intervenuti cominciano a scendere dalla Rocca d’Assisi con le insegne municipali e gli stendardi sotto il braccio?  

Cosa possiamo fare per fermare il macello che si consuma in tanti luoghi poco conosciuti e alimenta un marea di rifugiati bloccati dai muri delle nostre inevitabili paure?. Durante la marcia alcuni di loro, neri d’Africa, si affacciano da una struttura di accoglienza di Bastia Umbra, salutano sorridenti, acclamati da questo eterogenea fiumana di persone. Gli capiterà poche volte nella vita. Sembrano dei re tornati in patria. Altri camminano danzando portando striscioni a forma di vele per rappresentare le barche che li hanno portati fin qui. Issano delle scritte di invocazione di pace che sembrano ingenue. Poi ci parli e scopri il passaggio attraverso una strada dolorosa, fatta di torture e prigionia, di morti e di terrore. Non ne parlano volentieri. Sanno forse che non potresti capire. Uno di loro, arrivato ad Assisi, vorrebbe comprare tutte le icone disponibili di Maria ma costano troppo. Poi mi mostra orgoglioso un crocifisso a tau che ha pagato solo un euro Mi dice che durante la sua lunga traversata dalla Costa D’Avorio alle coste italiane ha pregato molto.

Sembra non sia possibile far altro che curare i danni delle guerre. Ma una buona notizia concreta è arrivata alla vigilia della marcia. Nonostante ogni scetticismo, e nel quasi silenzio della stampa che presume di contare, la procura di Brescia ha annunciato di aver aperto l’inchiesta sulle forniture di bombe italiane al regno saudita a seguito dell'esposto presentato dalla Rete italiana disarmo in diverse città italiane a Gennaio 2016. La notizia di possibile reato riguarda la violazione dell'articolo 1 della legge 185/90 che «vieta l'esportazione di armamenti verso Paesi in stato di conflitto armato e che violano i diritti umani». La stessa Rete Disarmo aveva chiesto chiarimenti relativamente alla visita di inizio ottobre del ministro della Difesa Roberta Pinotti a Riad, che «secondo fonti di stampa saudita aveva toccato anche aspetti relativi a contratti di fornitura per sistemi navali». La risposta è stata un dichiarazione infastidita espressa in un tweet glaciale: “Ministero pronto a querelare chi diffonde falsità”.

L’Avvenire diretto da Marco Tarquinio, unico tra i quotidiani nazionali, ha dedicato la prima pagina all’apertura dell’inchiesta, mentre Andrea Sarubbi di Tv2000 si è detto pronto ad ospitare un confronto, finora negato, tra la Pinotti e il portavoce di Rete disarmo, Francesco Vignarca.

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