Il lavoro ha bisogno di una nuova cultura

È la vera risposta strutturale ad ogni forma di povertà ed è una cattedra di vita che va posta alla pari di quella del pensiero

La generazione presente – si dice – sia quella che per la prima volta dopo secoli di storia sarà più povera di quella che l’ha preceduta. Non è difficile crederlo e benché importanti economisti si affrettino ad affermare che le disuguaglianze tra le nazioni ricche e quelle povere del mondo tendono a diminuire, debbono poi specificare che all’interno dei Paesi, anche quelli più ricchi, le disuguaglianze tra ricchi e poveri crescono, eccome.

 

Viviamo in un’epoca nella quale non solo il futuro ma anche il presente si mostra incerto ed una forte domanda emerge: che senso ha ciò che stiamo vivendo, verso dove ci stiamo dirigendo? Domanda che spesso non trova risposta, sintomo di una seconda forma di povertà del nostro tempo: la povertà esistenziale. Così si fa largo, in modo sempre più invasivo, la paura. E ci si chiude, ci si isola sempre più. Così incertezza, non senso e isolamento fanno paura, in ogni tempo ed in ogni luogo, producendo altra paura frutto e origine della povertà relazionale. È fin troppo evidente quanto sia necessario rompere questo circolo vizioso.

Non basta dare una pacca sulla spalla a chi è nel bisogno, occorre spezzare il pane e condividere nel concreto il poco o tanto che si possiede. La comunione dei beni materiali, è una prima risposta alle necessità immediate di chi non ha. La povertà esistenziale chiama però ad una prossimità non solo materiale, ma relazionale. Tutti abbiamo dei talenti che possiamo condividere, come la capacità di ascoltare, di confortare, di sorridere, di tollerare, di dialogare, di cogliere ed evidenziare il bello che c’è negli altri… e lasciare che altri facciano questo con noi. Ecco quindi che la comunione attuata diviene di per sé generativa, ci pone nella disposizione di essere per gli altri, con gli altri, ed insieme si può trovare o ritrovare il senso della propria esistenza.

 

Accanto alla comunione dei beni materiali e spirituali, non può mancare il lavoro. Anche intuitivamente si capisce che il lavoro è la vera risposta strutturale alla povertà materiale. In realtà è la chiave per il superamento di ogni forma di povertà, se si vuole guardare alla dignità della persona nella sua integralità che si esprime anche in ciò che fa. Il lavoro, poi, ci mette in relazione con gli altri. Si lavora per produrre un bene o un servizio che altri utilizzeranno, quindi si lavora per gli altri. Da questo punto di vista tutti siamo uguali, non c’è differenza in dignità tra l’operaio ed il professore universitario, il medico e l’operatore ecologico. Tutti svolgiamo un servizio prezioso per il bene comune. Inoltre, si lavora con gli altri, nelle imprese, nelle organizzazioni.

 

Quindi il lavoro è un luogo e uno strumento per sua stessa natura relazionale che, se vissuto bene, è di per sé formativo perché alimenta una delle nostre dimensioni più importanti: la relazionalità. Essa è, infatti, un’opportunità, ma è anche una sfida al nostro ingegno nel costruire relazioni positive, nel dimenticare i torti subiti, nell’operare secondo giustizia anche in contesti difficili. Lavoro, quindi, come spazio di generatività in favore del bene comune, nel creare e ricreare nuovi spazi di comunione e solidarietà tra tutti, anche con le generazioni future che sperano di beneficiare di un contesto sociale salubre, sostenibile.

 

C’è quindi bisogno di uno sguardo nuovo sulla società, sul bene comune e quindi sulla comunione dei beni e sul lavoro. Uno sguardo che potremo definire “carismatico”, in grado di cogliere lo specifico del dono che ciascuno è per gli altri, ed in grado di essere dono a propria volta attivando la reciprocità, è ciò di cui abbiamo più che mai bisogno di trovare negli imprenditori, negli operai, nei manager, nei sacerdoti, nei politici… in ciascuno di noi. Uno sguardo che necessita di essere formato in comunità vive capaci di fare della gratuità e della gratitudine la cifra del proprio agire. Per questo il mondo dell’associazionismo civile e dei movimenti ecclesiali non deve rinunciare al proprio ruolo educativo e formativo, in favore degli adulti e dei giovani, andando ad incontrarli là dove si trovano. E sostenendoli, soprattutto questi ultimi, nel formarsi in Università dove si offra la possibilità di acquisire competenze adeguate ma con un cambio di visione, dove la cattedra del pensiero e la cattedra della vita trovino spazio nella medesima aula e questo sguardo sia la chiave interpretativa del pensiero e dell’azione a beneficio di tutti.

 

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