L’attenzione all’altro

“Prestiamo attenzione”: la responsabilità verso il fratello. L’esortazione del Papa per la Quaresima 2012 ci porta al cuore della fede cristiana, ricentrandoci sull’amore fraterno e sulla responsabilità verso il prossimo
Attenzione all'altro

Il nostro prossimo (l’altro) è condizione di vita per noi
 
Riflettendo sul nucleo centrale della fede cristiana – la carità – il Papa ci offre un prezioso testo della Lettera agli Ebrei, per approfondire e mettere in pratica il cammino cristiano personale e comunitario verso la Pasqua: «Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb 10,24).

Mi soffermo sulla prima parte dell’esortazione che ci invita a fare il punto sulla responsabilità verso il fratello. È un grande tema per la fede cristiana e per la convivenza umana. «Intellettualmente e materialmente l’altro è per ciascuno di noi condizione di vita» (G. Gusdorf).

Cerchiamo di entrare nel vivo del discorso del Papa, analizzando l’invito a «prestare attenzione». Che cosa significa? Lo spiega bene egli stesso: «il verbo greco usato è katanoein, che significa osservare bene, essere attenti, guardare con consapevolezza, accorgersi di una realtà». E più avanti: «Il verbo che apre la nostra esortazione invita a fissare lo sguardo sull’altro, prima di tutto su Gesù, e ad essere attenti gli uni verso gli altri, a non mostrarsi estranei, indifferenti alla sorte dei fratelli». Si tratta di saper imparare a “osservare”, cioè a leggere i segni, mettendo in gioco la nostra persona. Dobbiamo confrontarci con Gesù, nostro prossimo, e poi con tutti gli altri prossimi che lo rappresentano.

Questa è una grande sfida per l’uomo contemporaneo, ripiegato su di sé e sempre più distratto e sedotto da mondi virtuali e realtà tecnologiche. Si esige perciò una svolta epocale: dall’io al tu, dall’egoismo alla fraternità, dall’indifferenza alla solidarietà. Il Papa è consapevole della debolezza dell’ora attuale: «Spesso, invece, prevale l’atteggiamento contrario: l’indifferenza, il disinteresse, che nascono dall’egoismo mascherato da una parvenza di rispetto per la “sfera privata”». La nostra vita rischia di diventare sempre più strappata agli altri, cioè “privata” dal bene comune, in particolare da quello per eccellenza che è la relazione positiva con gli altri: la fraternità.
 
L’attenzione si fa ascolto dell’altro
 
Perciò è necessaria una svolta antropologica. Si tratta di una riscossa, di un “risveglio” che implica un impegno personale di intelligenza e di volontà, quindi di libertà. Dopo i grandi drammi delle guerre mondiali, tra Shoah e Gulag, bombe atomiche e distruzioni di massa, è venuto il tempo di ripensare l’altro pensando all’altro. Se ne sono resi conto tanti pensatori. «In principio è la relazione», attesta Buber. Il volto dell’altro che irrompe nella mia vita nudo e indifeso diventa, per Lèvinas, appello etico e invocazione: «Tu non ucciderai». Stima di sé stima, stima dell’altro e istituzioni giuste, per Ricoeur, fondano un treppiedi etico ecc.

Ma c’è di più. Stiamo prendendo consapevolezza che un percorso di idee deve essere accompagnato da uno stile di vita coerente che trasformi elementi teorici in applicazioni concrete: simpatia, empatia, fenomenologia, personalismo e quant’altro devono diventare atteggiamenti concreti e stile di vita applicato alle relazioni umane.

In una «civiltà dell’urlo e del rumore» e di una «cultura del non ascolto» (M. Baldini) in cui, murati nel monologo, si privilegiano pratiche egocentriche e narcisistiche, diventa indispensabile il recupero del dialogo. Esso è la soluzione al problema delle relazioni umane. Ma per dialogare bisogna saper ascoltare. E questo richiede “attenzione”: l’essere presenti a se stessi e agli altri, senza distrazione.

Bisogna voler ascoltare e farlo con tutto se stessi: «l’ascolto impegna tutto il nostro essere» (G. Corradi Fiumara); «esige la presenza della persona e tutti quegli atti che fanno la presenza: coscienza, volontà, attenzione, silenzio, impegno, tempo; atti che sono proprio all’opposto della passività e dell’improvvisazione» (G. Colombero). Come prestare attenzione agli altri se siamo incapaci di colloquio, di dialogo?

L'ascolto si fa disponibilità verso gli altri

Nel libro di Bessero Belti, Il silenzio voce dell’anima, ci sono due passi significativi che sottolineano la disposizione interiore di chi ascolta: «È necessario, per esempio, prima di tutto, far tacere la fretta che ci spinge a non interessarci del prossimo col pretesto del nostro molto da fare. Se ricorriamo a questo pretesto, è segno che in noi manca la condizione fondamentale dell’ascolto, che è quella di essere sempre disponibili verso gli altri, sempre desiderosi di accoglierli e fare loro del bene. Non è questione di tempo: si tratta di disposizione interiore».

Ma c’è un secondo ostacolo, ancora più insidioso: «C’è una fretta ancora più nascosta, che ci impedisce di ascoltare: ed è la fretta con cui noi, subito, immediatamente, cataloghiamo la persona che ci parla. Al punto che crediamo di sapere già dove vorrà parare col suo discorso. E così avviene che invece di ascoltare, pure tacendo di voce, noi parliamo a noi stessi di quella persona, e ne parliamo indipendentemente da lei, come a noi pare e piace; e così non la incontriamo, non l’accettiamo, non ci immedesimiamo in lei».

Il pregiudizio minaccia la genuinità dell’ascolto, la sua pienezza. Perciò è necessario un silenzio interiore radicale, una “morte dell’ego”, che concretizza l’applicazione dell’evangelico “rinnegare se stessi” e del “perdere la propria vita” per il vangelo.

Umanamente è necessaria una “sospensione del giudizio”, per fare il vuoto dentro di noi ed essere accoglienti, e, al tempo stesso, “vivere l’altro”, “farsi uno” con lui, nel senso paolino del “farsi uno con tutti”, per “centrare la comunicazione sul tu” (G. Colombero).

Volere il bene dell’altro, pensare l’altro pensando all’altro, con maturità dialogica e con responsabilità etica: questo ci permette di essere «custodi» dei nostri fratelli (cf. Gen 4,9), e di vedere negli altri, in ogni nostro simile, un alter ego, un altro “me stesso”.

È quanto esprime, per esempio, una canzone del Gen Rosso: «Vorrei».

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