«L’Aquila vincerà la morte e risorgerà»

La commovente omelia dell’arcivescovo Giuseppe Petrocchi nell’anniversario del terremoto: «In tanti, durante il sisma, sono morti mentre compivano gesti di solidarietà. Quella notte anche Dio ha pianto»  
L'Aquila

A L’Aquila c’è chi lo definisce “il vescovo itinerante”. Dopo il devastante terremoto del 6 aprile 2009, la comunità aquilana è stata smembrata, dispersa e poi ridistribuita quasi a casaccio sul territorio. È normale dunque che l’arcivescovo Giuseppe Petrocchi vada a cercare i fedeli lì dove vivono, con i loro disagi, le loro fragilità e le scosse sussultorie che ancora scuotono tante persone dall’interno. La morte di 309 persone non può essere dimenticata.

 

Ecco perché, in occasione del settimo anniversario del sisma, nella chiesa di San Giuseppe, il vescovo Petrocchi ha fatto memoria di quanti persero la vita. «Fare memoria – ha spiegato l’arcivescovo durante l’omelia – vuol dire non solo ricordare, ma rivisitare, alla luce della Pasqua, quei tragici avvenimenti. Quella, carissimi fratelli, fu la notte del terrore, ma anche degli eroismi», nel corso della quale «sbocciarono sublimi gesti di amore».

 


«Non si dice mai – ha aggiunto Petrocchi – che tanti martiri del sisma sono andati incontro alla morte non a causa dei crolli, ma per gesti di totale dedizione. Se una mamma si trova al piano terra, vicino alla porta di ingresso, e ha i bambini che dormono al piano superiore, non penserà a mettersi in salvo, ma correrà dai figli. E se, mentre sta salendo le scale, le macerie le piombano addosso e la uccidono, non è giusto spiegare la sua morte solo invocando le leggi della fisica, perché bisogna interpretarla con le leggi del cuore».



Tanti, durante quel terremoto, persero la vita mentre compivano gesti di solidarietà. «So di mamme – ha aggiunto l’arcivescovo – che hanno coperto, con il loro corpo, i bambini che avevano a fianco; di famigliari, sorpresi dalla scossa tellurica nel posto sbagliato, proprio perché si erano offerti di assistere persone anziane; di tanti che avevano preferito cedere posti “più sicuri” a parenti o amici. Dio solo conosce gli abissi di questo oceano di generosità! Quella notte, penso, anche Dio ha pianto, perché Dio si commuove davanti all’amore-crocifisso!».



Petrocchi ha anche ricordato l’eroismo di quanti, tra i sopravvissuti, hanno scavato a mani nude tra le macerie o si sono spesi per dare sollievo alla gente spaventata, che si era riversata per le strade, condividendo quel poco che gli era rimasto. Tutti quegli atti, assicura l’arcivescovo, sono diventati «pagine sacre, che rappresentano il vostro motivo di vanto nel Signore».



Quel 6 aprile, ha aggiunto l’arcivescovo, «il terremoto ha nuovamente mosso guerra a L’Aquila e, anche questa volta, la perderà. È una vittoria che dobbiamo ai 309 martiri e ai loro famigliari: è una vittoria che dobbiamo alle nuove generazioni e a tutti gli aquilani che hanno creduto che L’Aquila, con la forza della sua indomita fede, avrebbe vinto la morte. Per questo continuo a dire che non basta ricostruire L’Aquila; L’Aquila deve risorgere: in senso cristiano e umano!».

 

Perciò, mio carissimo fratello – ha detto ai fedeli – «non restare invischiato nella sofferenza. Non fermarti ad analizzarla; non perderti nel labirinto delle sue ragioni, per ritrovarti ogni volta più avvilito e stanco. Guarda a Gesù crocifisso. Scopri la Sua presenza nel dolore che attraversa la tua vita. Poi, quando lo avrai riconosciuto, abbraccia con fede la tua – che è diventata la Sua – croce, e ti accorgerai che “non vi troverai il dolore, vi troverai l’Amore: vi troverai Dio”».

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