Landini e la vocazione del sindacato

L’elezione del nuovo segretario nazionale della Cgil può essere un passo verso la riscoperta delle radici del movimento dei lavoratori per poter affrontare in maniera unitaria le sfide del nostro tempo  
ANSA/GIORGIO BENVENUTI

Penso che l’elezione di Maurizio Landini a segretario generale della Cgil, con il 93% dei delegati del congresso nazionale, sia un fatto bello, positivo e importante per tutto il “sindacato”. Viene dalla gavetta, è cresciuto come operaio e conosce dal di dentro la loro condizione.

Apparteniamo a tradizioni culturali diverse che possono portare ad opzioni metodologiche e anche scelte operative diverse, ma tutto questo non può essere un ostacolo all’unità, anzi la può rendere più ricca, sapida, generativa anche se non semplice. Perché Maurizio, come noi, sa bene che i lavoratori di tutto il mondo sono uguali davanti alla vita, seppur con possibilità diverse a seconda della latitudine e molte e gravi differenze economiche, di leggi, di diritti e doveri. Essi, però, soffrono le stesse situazioni, gli stessi problemi, non hanno voce nelle loro aziende e quasi mai sono protagonisti del loro destino, sono, come si dice in gergo, dei “sottoposti” anche quando ricoprono nell’impresa qualche incarico gerarchico, quasi mai hanno libertà di coscienza o la possibilità di “obiezione” che verrebbe pagata, quasi sempre, con il loro allontanamento dal lavoro.

Soffrono gli stessi soprusi, invecchiano e non sono più adeguati alle varie mansioni, o sono troppo giovani o sono “donne”. Si ammalano, perdono il lavoro. Molti, anche in Occidente, pur lavorando duramente, non sono in grado mantenere adeguatamente la propria famiglia o di far studiare i propri figli e spesso questo al di là delle loro culture e appartenenze politiche e sociali.

Il nuovo segretario nazionale della Cgil sa bene che il lavoro è parte integrante della loro identità, della loro dignità, è parte costitutiva del loro essere “persona” e sa bene che il sindacato, in tante realtà e Paesi, soprattutto in Occidente, sembra aver in un certo senso smarrito la strada e spesso i sindacalisti non danno un’autentica testimonianza di servizio ai poveri e ai deboli, ma sono motivo di scandalo.

L’ex leader della Fiom ha rappresentato, in questi anni, nell’immaginario collettivo lo stereotipo del sindacalista credibile ma duro e radicale, a volte quasi indisponibile a prendere atto dei cambiamenti nel lavoro e nella sua organizzazione che sembrano imporci invece altre scelte. Eppure penso, invece, che può contribuire ad aiutare tutto il movimento sindacale a riscoprire le proprie “radici” e la propria “vocazione” attingendo ai migliori valori di ogni tradizione, storia e cultura sindacale.

A partire cioè dalle ragioni profonde dei diversi patrimoni culturali per trovare sintesi possibili e modi di azione su scala globale. Sì, Landini può contribuire a una svolta, a far sì che il sindacato torni ad abitare le periferie e a far argine, anche culturale, proprio lì e in tutti i luoghi di lavoro, alle peggiori disumane ideologie a difesa della democrazia e dei valori umani così come lo fece nel buio degli anni del terrorismo anche a prezzo di sangue o quando difese le fabbriche dalla distruzione bellica.

Stefano Biondi è direttore della pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Pisa, già segretario regionale dei bancari della Cisl in Toscana

qui intervista a Maurizio Landini in occasione della sua partecipazione a Loppiano Lab

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