America first o last, primi o ultimi?

Cosa accadrà agli Stati Uniti ora che Trump ha deciso di uscire dagli accordi di Parigi sul clima? Tra i primi sostenitori del documento si posizionano ora tra gli ultimi con Siria e Nicaragua, unici a non aver firmato. The Donald nel suo discorso parla di un Paese triste, irriso dal mondo, impoverito ma la sua retorica non lo sta facendo grande

Gli hanno scritto i manager di Shell, Exxon, Chevron e BP, le principali compagnie energetiche degli Usa. Una lettera congiunta è stata firmata da 630 uomini d’affari degli States. Hanno cercato di convincerlo i capi di Goldman Sachs, Unilever, Google, Apple e persino la Coca Cola. Anche il direttore della Walt Disney ci ha provato, al pari della figlia Ivanka che gli ha suggerito più volte di restare. Qualcuno dei consiglieri, pur di mantenere la rispettabilità nei confronti del resto del mondo, è arrivato persino a proporgli di restare  proforma negli accordi di Parigi, ma di disattenderli nei fatti. In tanti avevano riposto fiducia nel carisma di papa Francesco, credendo che almeno lui lo avrebbe fatto demordere dall’idea. E in fondo anche i Paesi del G7 lo speravano.

E invece no. Nel pomeriggio di giovedì, nel giardino delle rose della Casa Bianca, un baldanzoso Donald Trump ha annunciato che il Paese da lui governato si tira fuori dagli accordi per limitare le emissioni di gas serra e ridurre il riscaldamento globale. A sostenere la sua scelta una manciata di senatori e deputati repubblicani, e il suo consigliere strategico Steven Bannon. Naturalmente, come già accaduto in passato, The Donald mantiene l’ambiguità: si ritira dall’accordo, salvo avviare nuove trattative per rientrarvi o addirittura propone di stilare un documento ex novo, che “non punisca gli Stati Uniti” e riporti allo stesso tavolo quasi 200 Paesi. Sfida non di poco conto, considerati gli anni impiegati per arrivare agli accordi parigini. Intanto Mr. President ha annunciato che sarà il paese più amico della Terra, ma contemporaneamente sospenderà i contributi al Fondo per il Clima delle Nazioni Unite: quei soldi gli servono a creare posti di lavoro. In realtà Trump sembra ignorare che la sua decisione penalizzerà chi un lavoro lo ha già e da tempo nel campo delle energie verdi, perché danaro in meno significa meno investimenti e meno innovazione. Ma lui, con alla mano i dati della Nera Consulting, dichiara che gli Usa perderanno entro il 2040 3 trilioni di dollari e ben 6.5 milioni di posti di lavoro. L’agenzia stampa Associated press si premura di verificare i dati e svela che il sondaggio è stato commissionato da due compagnie petrolifere amiche, non nuove nell’influenzare la lettura dei dati raccolti.

Trump Climate

La sua “America”. Gli accordi sul cambiamento climatico, durante tutta la conferenza, diventano un escamotage per raccontare ai suoi sostenitori e riproporre anche a se stesso i temi forti della sua campagna elettorale: gli Usa sono un Paese povero, triste, senza prospettive, irriso dappertutto, dispensatore di danaro per aiuti all’estero di cui i suoi stessi cittadini non traggono vantaggi. Mescola numeri e confonde, Donald Trump: cita un rapporto obsoleto del Massachusetts Institute of Technology e confonde i gradi. La ricerca precisa che la temperatura della Terra aumenterebbe da 3.3 a 4.7 senza gli accordi Parigi, che invece attesterebbero l’aumento tra 2.7 e 3 – quindi circa un grado di differenza -; ma i dati sono obsoleti, come anche il Mit ha precisato. L’attribuzione al trattato della crisi delle miniere di carbone è riconducibile a decenni precedenti il 2015, quando l’accordo fu siglato; e comunque, a fronte di 24 mila posti di lavoro persi, le attività legate all’energia solare ne hanno fatti guadagnare oltre 250 mila. Infine in chiusura richiama le sue responsabilità di rappresentante del Paese: “Sono stato eletto per rappresentare Pittsburgh e non Parigi”, anche se di fatto la città della Pennsylvania non lo ha votato, perché qui ha stravinto Hillary Clinton. Il sindaco smentisce l’affinità con il presidente, e  si schiera a fianco di tutti gli altri primi cittadini che hanno deciso di continuare le loro politiche ambientaliste a dispetto della decisione presidenziale; anche se questo significherà carenza di fondi federali.

Le conseguenze. Uscire da Parigi comporterà un processo ordinario di quattro anni: cioè si concluderà assieme al mandato di Trump, qualora tutto filasse al meglio. La procedura di uscita creerà ostacoli alla promessa legislazione pro-fossile e carbone e ai tagli massicci sulle energie eoliche e solari. Ma di questo Trump non fa menzione. Il tempo porterà consiglio? Lo scetticismo a riguardo tracima in quasi tutti i media Usa, che sottolineano la perdita dell’egemonia e della credibilità del Paese: che non potrà essere guadagnata solo attraverso l’impegno militare nelle guerre in corso o a quelle ancora nel cassetto. Altro rischio è che la Cina faccia asse con l’Europa, e insieme diventino i veri leader nelle politiche verdi. Intanto i governatori di California, Florida e dello Stato di New York disattenderanno le iniziative presidenziali; e anche Elon Musk, il visionario imprenditore delle auto spaziali che faceva parte del Consiglio strategico di Trump, si è dimesso. Online la community Live on Paris sta attivando campagne di sensibilizzazione, mentre non pochi media hanno aperto delle rubriche in cui i cittadini sono protagonisti nella salvaguardia dell’ambiente.

Se l’impopolare decisione di Trump sul clima aveva come scopo “America first”, “Prima l’America”, per riportare in auge l’orgoglio ferito della nazione, i risultati sono stati di ben altra natura: perché la considerazione Usa come leader indiscusso in campo internazionale sta scivolando agli ultimi posti, e questo grazie ad una leadership ondivaga e sempre più a rischio.

 

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