La via di Francesco nella Chiesa italiana

Un appello a vivere la vita del Vangelo e nient’altro in una Chiesa povera per i poveri. Con questo articolo intendiamo aprire un dibattito sull’argomento. Aspettiamo i vostri commenti
Papa CL

In questa ultima settimana papa Francesco ha incontrato i Neo-catecumenali e Comunione e Liberazione. Nei mesi precedenti aveva incontrato i pentecostali, Sant’Egidio, i Focolari.

Per certi versi ad ogni movimento ha detto la stessa cosa e cioè la sequela a cui tutti i cristiani sono chiamati. Una sequela nella preghiera, nella povertà, nella condivisione con i poveri e con gli afflitti, nella pace; nell’ascolto del grido muto delle vittime e nella solidarietà senza confini.

Nessuna retrocessione, né sottovalutazione da parte del papa, ma un appello a tutti a vivere la vita del Vangelo e nient’altro. Ognuno secondo l’invenzione dello Spirito Santo, secondo l’originalità e creatività che nasce dall’alto. Ciascuno accogliendo i doni dello Spirito, i talenti che è chiamato a trafficare, e che sono inscritti nella sua grazia battesimale.

La vera questione, che a tutti è posta, è come questi movimenti possano raccontare il mistero di una chiesa, come dice papa Francesco, «povera e per i poveri».

Allora non si tratta di scegliere secondo le sensibilità di ciascuno, ma di obbedire tutti lungo la via crucis che è via pauperum, di Gesù povero che sale sulla croce perché ciò che è perduto sia ritrovato e ciò che è morto sia richiamato in vita.

Anche per le chiese, per i movimenti, per le comunità è tempo di conversione. È tempo di riconoscere la forma del Vangelo come forma della Chiesa

In questi decenni troppe adunate, troppe manifestazioni di spettacolo mondano, troppa ricerca di potere, troppa esibizione di sé e troppa lontananza dai piccoli. Troppe frequentazioni di potenti, troppi soldi e poco ascolto dei poveri, del loro dolore e del loro soffrire.

In qualche caso i movimenti sono diventati strumento di pressione politica in nome di astratti principi che hanno portato i vescovi a intervenire in modo pesante nella vicenda pubblica italiana. Una scelta di scarsissimo respiro che ha portato alla sconfitta non solo politica, ma anche culturale e spirituale delle nostre chiese. È tempo di penitenza rispetto a questa candidatura al potere.

Papa Francesco dice che la Chiesa non deve diventare una Ong. Lo ha detto al grande incontro dei movimenti ecclesiali del giugno 2013, appena diventato papa e lo ha ridetto ora ai membri di Cl: «Cadiamo nelle mille trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale, quel guardarci allo specchio che ci porta a disorientarci e trasformarci in meri impresari di una Ong».

Mentre tutti, nel linguaggio corrente, parlano bene delle Ong, il papa vi vede un grande pericolo, perché oggi certe comunità, che hanno il volto delle Ong, appaiono come la nuova veste del cristianesimo politico. Si vuole giocare un ruolo politico, si fa della fede uno strumento di potere e si ricerca il potere tramite la fede. L’esatto contrario di una Chiesa povera per i poveri.

Anzi si utilizzano i poveri per ottenere potere, per guardarci allo specchio e filtrare tutto attraverso il nostro prestigio. In questo modo i poveri diventano uno strumento astuto di conquista della società e non sono più il mistero di Dio. E il Vangelo rimane sullo sfondo. Sula scena compaiono le nostre ambizioni politiche e le nostre miserie culturali.

L’altro punto essenziale è l’appello del papa a essere decentrati. Ai membri di Cl ha detto: «Ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere decentrati. Al centro c’è solo il Signore».

Questo tema il papa l’ha affrontato anche nella celebrazione della messa del Concistoro, e cosi ha detto ai cardinali: «Chi vive nella carità è decentrato da sé. Chi è autocentrato manca inevitabilmente di rispetto e spesso non se ne accorge, perché il rispetto è proprio la capacità di tenere conto dell’altro, della sua dignità, della sua condizione, dei suoi bisogni. Chi è autocentrato cerca inevitabilmente il proprio interesse e gli sembra che questo sia normale, quasi doveroso. Tale interesse può anche essere ammantato di nobili rivestimenti, ma sotto sotto è sempre “il proprio interesse”, invece la carità decentra».

Sono parole rivolte al collegio cardinalizio, dunque, non solamente a un movimento o una comunità. Chi è autocentrato fa il suo interesse e questo vale per tutti: parrocchie, comunità movimenti, fino alla grande Chiesa. E anzi arriva quasi a identificare la sorte della sua comunità con il bene di tutta la Chiesa.

E allora la misura della vita evangelica non sono più i poveri e il mistero di Cristo povero, ma le opere e la loro compagnia e a volte si travestono le opere come opere di pace, purché al centro ci sia il prestigio della propria comunità.

E se il Vangelo si annuncia con i mezzi poveri del Vangelo, i molti che non decentrano, che sono autoreferenziali, che cercano il loro interesse e fanno della ricchezza il mezzo per eccellenza per aiutare i poveri, sono destinati a perire in un politicismo senza sosta, che li svuota dal di dentro.

Lo straordinario cristiano è l’amore ai nemici, il dare la vita per essi, non l’occupazione degli spazi, la conquista del potere astuto a fin di bene, il peso sociale delle nostre cooperative, i professionisti della carità.

Papa Francesco sogna una Chiesa italiana povera per i poveri e proprio per questo capace di guardare lontano, uscendo con Gesù sulla via della croce. E non sulle nostre comode strade in cui incontriamo i potenti di turno, di cui vogliamo godere l’amicizia.

Sulla via di Gesù tutti sono chiamati e nessuno è escluso. Per tutti è tempo di penitenza, quando i poveri diventano per noi i primi maestri del Vangelo, in forza dell’azione prevenente del Signore.

 

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