La triste parabola di un ex presidente

Alan García, due volte eletto alla presidenza del Perù, ha preferito togliersi la vita, piuttosto che finire sotto processo per corruzione, come del resto tutti gli ex capi di Stato del Paese dal 1985 in avanti

Anni fa un amico in Perù volle misurare la fila formata con i documenti richiesti per mettere in piedi un’attività economica. La colonna di carta per terra raggiunse i 20 metri di lunghezza. Comprese, dunque, che quasi nessuno seguiva tali disposizioni e che ciascuno si “arrangiava” lubrificando con bustarelle gli ingranaggi di una burocrazia kafkiana. Ma se per una piccola attività ambulante si ricorre a tali espedienti, per attività molto più lucrative si passa a “livelli superiori”. Concessioni per l’estrazione di risorse naturali, violazione di normative in materia di inquinamento e di aree naturali protette, attività mineraria illegale, estrazione illecita di legname pregiato illegale, attribuzioni sospette di opere pubbliche e attività di contrabbando godono di “protezioni sospette” nei ministeri e nella magistratura. Uno dei problemi di questo meraviglioso, ricco ed immenso Paese (1,2 milioni di km2 per 32 milioni di abitanti) è in effetti una corruzione che corrode anche i gangli dello Stato. Non a caso tutti i presidenti che hanno retto il Paese, dal luglio 1985 al marzo 2018, sono finiti in carcere, sotto processo o indagati per corruzione.

Il caso più tragico è quello dell’ex presidente Alan García, che la settimana scorsa si è tolto la vita piuttosto che essere arrestato. Fondatore del Partito Aprista e due volte presidente (1985-1990 e 2006-2011), era un abilissimo oratore. Giunse al potere quale oppositore di un capitalismo selvaggio che, in America Latina, faceva incetta delle aziende statali avendo prima comprato i titoli del debito pubblico a valore di mercato (decurtati fino al 70% ed oltre del loro valore) per poi usarli come forma di pagamento al 100% del loro valore nominale. Volle recuperare il ruolo dello Stato nell’economia, ma il fallimento fu totale. Tornò a casa avvolto dall’impopolarità, mentre il Paese era preda di un’iperinflazione al 7 mila% e della guerriglia delirante di Sendero Luminoso che faceva stragi in varie regioni. García fu accusato di corruzione e, durante la gestione di Alberto Fujimori, dopo l’autogolpe che ne estese i poteri, nel 1992 chiese e ottenne l’asilo politico dal governo della Colombia, da dove ritornò nel 2001 quando prescrissero le accuse.

Alan García

Sebbene impopolare, nel 2006 ottenne un nuovo mandato presidenziale, vincendo il nazionalismo radicale di Ollanta Humala che spaventò l’elettorato (anche se poi divenne presidente nel 2011, preferito alla figlia di Fujimori). Non ebbe migliori risultati: il suo discorso approdò a una visione più neoliberista. In seguito, l’appoggio elettorale precipitò a livelli minimi. Le attuali accuse fanno riferimento a quel secondo mandato. Il gigante edile brasiliano Odebrecht ammette di aver distribuito in Perù circa 29 milioni di dollari in tangenti dal 2001 in avanti. Una ammissione di colpa che consente alla giustizia peruviana di avanzare tra una folla di ex presidenti, ex sindaci, ex governatori regionali ed ex ministri, tutti “innocenti” e “perseguitati politici”.

Anche questa volta, García ha cercato nel novembre scorso di giocare la carta dell’asilo politico. Ma il governo dell’Uruguay glielo ha negato, perché le indagini nei suoi confronti erano in fase avanzata e non erano state riscontrate le circostanze di una persecuzione politica. Aveva annunciato di voler collaborare con la giustizia esigendo le prove delle sue accuse, ma ha poi scelto il suicidio alla possibilità di provare la sua innocenza.

Una parabola tristissima per un Paese che ha voglia di costruire un futuro, ma per il quale è indispensabile una cultura della legalità che impedisca di trasformare la produzione di leggi e normative varie in una cortina di fumo che i più furbi utilizzano per eluderla. Una corruzione che in Perù, come pure in Argentina, in Colombia, in Brasile e anche altrove diventa una pesante zavorra che impedisce di avanzare nello sviluppo.

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