La trappola della crescita senza uguaglianza

Una riflessione intorno alla profonda e realistica analisi dell’Italia offerta dall’ultimo libro intervista di Romano Prodi, "Un piano inclinato"
ANSA/GIORGIO ONORATI

La crescita senza uguaglianza degli ultimi decenni si è rivelata una trappola che ha reso le nostre società più ingiuste togliendo valore al lavoro. Queste si sono trasformate nell’interazione tra tecnologia, finanza e globalizzazione.

Grande assente, in questa dinamica, è l’uguaglianza, senza la quale la stessa crescita rallenta. Si generano così fratture nella coesione sociale che alimentano i populismi e mettono in crisi la stessa democrazia. La politica economica nazionale può correggere questi squilibri che bloccano l’ascensore sociale e frenano lo sviluppo?

Romano Prodi in Il piano inclinato, Il Mulino, 2017, prova ad indicare le direzioni di un intervento per una crescita inclusiva che porti l’Italia fuori dal lungo declino. Questo processo sembra essersi interrotto dall’azione riformatrice degli ultimi governi ma molto resta da fare per una inversione di tendenza.  I cambiamenti tecnologici hanno concorso a deprimere il lavoro, schiacciando verso il basso i lavoratori con modesti livelli di competenza e di retribuzione, riducendo il potere contrattuale dei lavoratori specializzati.

La globalizzazione ha protetto più il capitale che il lavoro. L’eccesso di finanziarizzazione delle imprese industriali ha spostato quote rilevanti del PIL dal lavoro alla rendita.

Questo spiega in parte la crisi del 2007. Un lavoro svalutato, sostituibile, frammentato, spesso assente, non è più costruttore di coesione sociale. E’ urgente allora dare forza ai sindacati, nonostante i loro errori, ed ai corpi intermedi come storici soggetti di equilibrio sociale.

Fondamentali saranno la ridefinizione dell’identità del sindacato, al fine di rappresentare anche i giovani e le vittime della globalizzazione e la revisione della democrazia interna per evitare la cooptazione e la deriva oligarchica nella vita dei sindacati, come anche dei partiti.  Non si può più non affrontare l’anomalia italica della patologica evasione fiscale da almeno 110 miliardi annui.

Molto è stato fatto negli ultimi anni nel recupero dell’evasione ma la montagna da scalare è alta. Obiettivo raggiungibile solo con volontà politica ed efficienza dell’apparato tributario. Occorrono nuovi investimenti pubblici per irrobustire il tessuto industriale e per offrire nuove opportunità di lavoro.

Gli imprenditori devono investire di più nelle loro imprese. La massimizzazione del dividendo degli azionisti non può essere l’obiettivo unico ed esclusivo dell’impresa.

Servono incentivi per l’istruzione tecnica, per reti di strutture di ricerca per l’innovazione a supporto delle imprese sul modello delle tedesche Fraunhofer. E’ importante attivare i giovani, soprattutto i Neet, coloro che né studiano né lavorano, attraverso politiche attive del lavoro ed il servizio civile. Una rivisitazione dell’imposta di successione può aiutare a trovare le risorse necessarie. Vanno ristrutturati i distretti industriali, classica forza produttiva dell’Italia, attraverso la crescita di alcune imprese leader ed il raggruppamento di altre, il potenziamento degli incubatori di start-up.

Cosa fare?

Per un futuro migliore è necessario restituire valore e peso politico al lavoro, raddrizzare il piano inclinato dell’economia e del sistema sociale riducendo le enormi disuguaglianze che causano il rallentamento della crescita economica. Si invoca pertanto una visione politica di lungo respiro di una classe dirigente coesa, ben oltre una fede cieca nelle virtù del mercato, che ci sta conducendo verso una stagnazione secolare.

Quali politiche? Redistribuire la ricchezza, creare lavoro buono, lottare contro la povertà e per l’equità sociale, irrobustire i ceti medi. In altri termini: agire sulla crescita dell’intero sistema, ora interrotta.

La politica deve tornare a guidare l’intreccio perverso tra tecnologia, globalizzazione e finanza. Il rischio è una ripresa della crescita senza lavoro in aumento. Non bastano le politiche keynesiane del dopo 1929. Occorre superare la finanziarizzazione dell’economia reale, vera causa della crisi, l’enorme evasione fiscale fino a ricondurla ai livelli normali dei paesi civili, la divergenza radicale nello sviluppo della produttività italiana rispetto ai paesi concorrenti. Per questo è necessario ridurre il fallimento delle imprese, il loro trasferimento all’estero, potenziare le medie e grandi imprese nei diversi settori, vere “armi atomiche e corazzate” per competere nella globalizzazione.

Va superata la fragilità del settore dei servizi avanzati per l’integrazione con l’industria (legali, finanziari, di consulenza aziendale).

Gli investimenti vanno orientati verso una positiva contaminazione tra tecnologie, processi, prodotti, attraverso l’Industria 4.0, il Programma Horizon 2020 della UE, come leva strategica in sei categorie tecnologiche avanzate: tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nanotecnologie e materiali, biotecnologie, fabbricazioni e trasformazioni avanzate.

Si tratta di Kets, iniziativa della Commissione europea, Key Enabling Tecnologies. L’Italia investe poco nel corso di questo “shock tecnologico” mentre l’industria resta il nucleo portante della nostra economia. Determinante è la diversificazione delle fonti di investimento. Non solo banche ma anche fondi specializzati e Borsa, risorse provenienti dagli stessi imprenditori.

La legislazione deve favorire il capitale proprio nelle imprese, l’aumento della dimensione d’impresa, la nascita di nuovi distretti industriali con ricerca e sviluppo, imprese leader e start-up di successo.

Le imprese familiari possono essere sostenute da fondazioni, come in Germania, per garantire continuità e sviluppo all’azienda nei passaggi e nelle crisi familiari. Manager esterni possono preparare la successione imprenditoriale. L’Italia deve superare questa fase di decadenza ed incertezza ripensando l’intera catena dei processi decisionali, una Pubblica Amministrazione lenta, Tar e ricorsi all’infinito. Le riforme in atto della PA, della lotta alla corruzione e della concorrenza sembrano andare in questa direzione.  Le idee dei giovani in prodotti e servizi devono trovare finanziamenti.

Investimenti esteri e costo del lavoro

L’Italia può attirare finanziamenti dall’estero avendo un costo del lavoro orario inferiore a quello dei Paesi europei concorrenti. Questo può significare agire su superamento di una burocrazia asfissiante e delle diffidenze per criminalità organizzata, sicurezza, mancanza di infrastrutture e di scuole internazionali per figli di imprenditori stranieri.

Recenti misure del Governo e del Parlamento vanno in questa direzione.  Va curata la competenza tecnica e professionale dei giovani da impiegare in aree labour intensive, al riparo dalla globalizzazione. L’area sociale deve trasformarsi in vera e propria sfera economica attraverso le misure di contrasto alla povertà, beni comuni, difesa del territorio, sviluppo e riequilibrio sociale, welfare generativo e servizi alla persona, servizio civile e nuove opportunità di lavoro. Si tratta di una grande redistribuzione di ricchezza e di opportunità ridando valore al lavoro, sostenendo pensioni insufficienti, riducendo il cuneo contributivo.

Va usata la leva fiscale per contrastare l’impoverimento della classe media, per ridurre le disuguaglianze con la progressività delle imposte. Il decile più ricco, infatti, diviene sempre più ricco. Crescono i redditi non da lavoro.

I fondi comunitari per lo sviluppo del Sud devono essere utilizzati al 100 %.  Importante è creare allora nelle Regioni e città del Sud in particolare, ottimali cabine di regia per attingere alle grandi risorse dei progetti Europei.  Le misure di contrasto alla povertà   sono da attuare in modo efficace come con il recente Reddito di inclusione sociale.  Pertanto la crescita inclusiva è una strada percorribile.

Occorre però trovare risorse diverse dal carico fiscale e dall’andamento della spesa pubblica.

Tutto ciò è possibile con una nuova mentalità degli imprenditori, sostenuta da una legislazione adeguata, da interlocuzione con il territorio, con il Terzo Settore, da un sistema valoriale d’impresa fondato sui beni relazionali, da una strategia di crescita duratura ed inclusiva. E’ compito della politica poi, con la sua capacità di leadership diffusa e condivisa, guidare questi processi senza lasciare il campo ai populismi che parlano alla pancia di quel 99 % di impoveriti e arrabbiati.

La cura possibile

L’Italia rischia di essere un ricco Paese di poveri. Questo avviene quando l’osmosi salta, quando l’ascensore sociale si blocca, la disuguaglianza si eredita e tanti piccoli poveri crescono. 9 milioni di esclusi!

Decisivi saranno le nuove misure nella legge di stabilità su Reddito di inclusione, le azioni sociali sui bambini della fascia 0-6 delle famiglie povere e i provvedimenti per la decontribuzione nell’ assunzione dei giovani fino ai 29 o 35 anni.

I neuroni del corpo-Paese sembrano ignorarsi. L’Italia deve essere messa in rete soprattutto sul piano digitale. Occorre fermare la fuga dei cervelli all’estero. Sembra che il corpo perda la testa. Rischiamo di diventare belli ma poveri. Utilizziamo, ad esempio, troppa energia degli altri. I mitocondri dormono. L’energia è un bene di tutti, capito da pochi nel ridurne i consumi.

L’Italia è fragile sul piano idrogeologico. Oltre il 50% degli italiani è soggetto a terremoti, alluvioni, frane. Ischia docet.  Siamo un Paese bello ma fragile, stretto, lungo ed in pendenza.

La gestione del territorio con relativi investimenti di prevenzione deve essere in cima ai pensieri di governi ed amministratori locali per uscire dall’emergenza. Dobbiamo spendere prima e non dopo, passare dalla protezione alla prevenzione. Possiamo utilizzare l’altra metà dei nostri geni. Se il Dna è soltanto maschile abbiamo meno cilindri nel motore. Cosa fare? Più asili nido, più congedi, più flessibilità e rientri. Serve insomma l’ormone della crescita, in conclusione, con una nuova classe dirigente unita, formatasi nelle amministrazioni locali, nel Terzo settore, nelle Università e centri di ricerca, nelle imprese innovative e con dirigenti responsabili e competenti della Pubblica Amministrazione.

L’Italia si è già incamminata su questa strada della crescita e dello sviluppo economico e sociale. Ora è necessario dare una spinta forte e coerente nella prossima legislatura, mediante una legge elettorale condivisa dagli schieramenti dei partiti, che consenta di avere rappresentanza, stabilità e governabilità del sistema-Italia in una Europa sempre più integrata politicamente.

 

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