La strada del cuore

Si è da poco conclusa a Vicenza la XIII edizione del Festival Biblico. Una scommessa vinta lanciata dalla Chiesa Vicentina e dalle editrici paoline, che ha avuto quest'anno come fulcro il tema della strada e del viaggio
Una delle serate del Festival nella splendida cornice del Teatro Olimpico (foto Flux Phototeam)

Vicenza, XIII Festival Biblico. Qualche cifra: 11 giorni, 224 appuntamenti con 300 relatori e artisti in 70 luoghi di 23 città e 6 diocesi; un totale complessivo di 35.000 presenze, 32 media partner e 230 volontari. Tutto questo in un clima di grande coinvolgimento della città veneta e altri centri, dai giovanissimi a persone della terza età, da intellettuali a persone senza particolari pretese, dai vicentini doc a diversi gruppi di migranti  – o comunque di cittadini italiani provenienti da altri Paesi. Si è trattato di avvenimenti di contenuto ovviamente religioso, come recita la caratteristica del festival, ma non solo; e, comunque, di grande spessore culturale.

Il Festival è una sfida lanciata una quindicina di anni fa dalla Chiesa vicentina insieme alle editrici della Famiglia Paolina di fronte al crescente allontanarsi della gente dalla tradizione cristiana e, in particolare, dal testo sacro. A distanza ormai di oltre un decennio si può senza dubbio affermare che la sfida è stata vinta. In questi giorni si aveva l’impressione che il livello culturale e la sensibilità artistica della città abbia beneficiato di una iniziativa che continua a crescere, come dicono le cifre, e che ha ormai un’influenza importante non solo sul territorio vicentino ma fino al Trentino e al Friuli.

L’edizione di quest’anno, intitolata “Felice chi ha la strada nel cuore”, ha aperto i partecipanti ad un numero ed una varietà impressionante di eventi che riflettevano sulla realtà dei viaggi di Paolo apostolo, dei grandi esodi proposti dall’Antico Testamento; fino al moderno fenomeno del turismo spirituale che favorisce il pellegrinaggio, ma che apre anche al dialogo fra persone di diverse fedi. Soprattutto non sono mancati eventi centrati sulla condivisione di viaggi spirituali compiuti da personaggi di primo piano, sia nel campo artistico che in quello più generalmente culturale, come pure da persone semplici e da giovani. In effetti, si sperimenta sempre più che il mondo globale offre una conferma reale all’intuizione latina che recitava: “Vivere non è necessario, ma se vuoi vivere è necessario viaggiare”. E, in un epoca come quella globalizzata dove il viaggio è sempre più facile e comodo, nonché veloce, si sperimenta che la via più vera è quella del cuore e della mente, ben più coinvolgente che il semplice vedere nuovi luoghi ed incontrare nuovi volti.

Proprio su questi temi si sono svolte riflessioni proposte ad un pubblico attento alle varie forme comunicative: quella orale frontale, ma anche non poche visive e mediatiche come pure artistiche e di grande creatività. Il Festival, poi, crea spazi di condivisione e di confronto; e Vicenza, come altre cittadine del territorio veneto, offre un’urbanistica classica – basta pensare al Palladio e alla sua scuola – che permette angoli di incontro. La grande novità di questa edizione era il Dabar, un cortile che collega la piazza dei Signori, dove dominano le proporzioni perfette ed eleganti della Basilica Palladiana, con le vie del retro. Qui, gustando eccellenze gastronomiche locali – su tutte polenta e baccalà – e sorseggiando vini delle colline venete è stato possibile ascoltare concerti e suoni del mondo, presentazioni di novità librarie e incontrare autori, non solo per adulti o intellettuali, ma anche per bambini e ragazzi.

Nella varietà di strade interiori e geografiche disegnate in questi giorni, di rilievo quella a più voci che ha segnato la conclusione del Festival prima della chiusura ufficiale avvenuta sulla piazza dei Signori all’ombra della Basilica Palladiana. Si è trattato di una tavola rotonda intitolata Religioni in cammino, che ha proposto riflessioni su quanto le tradizioni religiose hanno da dire sul viaggio e sulla strada. Il momento ha significato, prima di tutto, seguire il cammino dei musulmani che hanno appena iniziato il mese di digiuno, vero cammino spirituale verso una apertura sempre più grande a quanto Dio vuole donare al fedele. Non solo. L’imam Izzedin Elzir, presidente dell’Unione della Comunità Islamiche Italiane, ha accompagnato i presenti in un viaggio verso la Qaba, che rappresenta, insieme al digiuno, uno dei pilastri del credo della mezzaluna. Un racconto ed una condivisione di senso che hanno contribuito a modificare o, per lo meno, a mettere in dubbio luoghi comuni spesso aspri e infondati propinati dai media ed ormai patrimonio dell’immaginario comune. Ma un aspetto che l’imam ha voluto sottolineare è stato l’aspetto del dialogo come pellegrinaggio e come viaggio che richiede il coraggio del cuore per uscire dal proprio contesto e camminare insieme ad altri.

Questo è stato l’argomento ripreso anche da Hansananda Giri, di fede e tradizione indù, che, partendo dalle vette dell’Himalaya ha dimostrato come la via ed il movimento verso la sorgente del Gange costituisca un aspetto fondante della vita dei seguaci del Sanatana Dharma, le religioni del subcontinente indiano. La dimensione del tirtha, il pellegrinaggio in questa tradizione, è importante per capire il viaggio fondamentale, quello verso l’acquisizione delle vera e piena conoscenza che coincide con la coscienza di essere parte ed espressione del grande Brahman, le cui proiezioni nel mondo creato rappresentano parte dell’unica e sola vera realtà esistente, quella, appunto, dell’Assoluto. Solo il diventare coscienti di questo permette di superare il ciclo delle reincarnazioni e raggiungere il moksha, lo stato che potremmo definire come il Paradiso nella percezione indù.

Non è mancato il contributo ebraico che ha presentato, oltre ai grandi viaggi e ritorni del popolo ebraico, le drammatiche esperienze dei viaggi in fuga, dalle cacciate storiche in Spagna e in Russia nel XV e XIX secolo, alla tragedia della Shoah, dove partire ha significato veramente viaggiare in treni piombati verso i campi di eliminazione. Per questo, alla Stazione Centrale di Milano, è in corso di completamento un originale museo presso la banchina da dove partivano i “viaggi della morte”. Si chiamerà “Binario 21”, perché era da lì che prendevano il via i famigerati convogli di quei “viaggi” drammatici.

Anche il cristianesimo ha offerto una sua riflessione attraverso Anna Urbani di Venezia, legata soprattutto, anche se non solo, alla storica tradizione dell’ecumenismo intuito ed animato da quel Cardinal Roncalli che avrebbe ispirato il Concilio e la sua apertura ecumenica ed interreligiosa. Proprio il fenomeno ecumenico è stato presentato come il viaggio che ha caratterizzato il mondo cristiano, con vicende alterne, ma anche con una traiettoria indubbiamente crescente fino all’anno che stiamo vivendo che, a cinquecento anni dalla frattura fra Lutero e la Chiesa cattolica, sta dimostrando la vitalità di un fenomeno da molti ritenuto in stato di coma.

Tuttavia quello che più ha colpito i presenti è stata la testimonianza di fraternità e condivisione fra rappresentanti di 4 diverse religioni che, oltre alle tematiche affrontate in consonanza con il tema del Festival, hanno sottolineato il “viaggio” del dialogo come esperienza comune, credibile proprio perché visibile nei rapporti vissuti fra coloro che sono intervenuti. In effetti, come ha sottolineato Benedetto XVI, il dialogo permette a coloro che credono in Dio di cercare insieme la pace, tentando di avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di Dio, verso la fonte della Luce. Si tratta di uno degli argomenti forti anche per Papa Francesco, spesso citato nel corso del pomeriggio, protagonista con il suo uscire verso le periferie e con il suo “camminare insieme” di una rinnovata stagione ecclesiale, di cui si vedono segni importanti. Il Festival Biblico ne è una dimostrazione.

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