La sfida per il futuro della Terra

Il dibattito sui cambiamenti climatici si fa più intenso in occasione di cataclismi come il recente tifone nelle Filippine, o quando si aprono i summit mondiali come la Conferenza Onu appena iniziata a Varsavia. Ma quale futuro ci aspetta, se gli interessi economici frenano le iniziative in questo campo? L’importanza della spinta dal basso per creare circoli economici e ambientali virtuosi. Ne parliamo con Antonello Pasini, ricercatore Cnr
Tifone-Bopha-investe-le-Filippine

Il disastro provocato dal recente tifone nelle Filippine è solo l’ultimo di una lunga serie di cataclismi che sembrano aggravarsi di anno in anno, e ci interrogano sui cambiamenti climatici in corso nel nostro pianeta. Ne parliamo con Antonello Pasini, ricercatore del Cnr, esperto di cambiamenti climatici. Li studia nella loro dinamica e complessità con esperimenti su scala locale, utilizzando modelli di intelligenza artificiale (a rete neurale). Pasini è autore del blog Il Kyoto fisso sul sito di Le Scienze e, per Città Nuova, ha scritto il libro Il pianeta che scotta con Luca Fiorani.

Nei prossimi anni e decenni ci dobbiamo aspettare un raffreddamento o un riscaldamento delle temperature medie sulla Terra?

«I nostri modelli climatici attuali vedono tutti un ulteriore riscaldamento per il futuro di questo secolo appena iniziato».

Il riscaldamento globale quanto dipende da fattori naturali e quanto dalle attività dell’uomo?

«Dal punto di vista degli influssi e dei cicli naturali sappiamo che siamo “appena” usciti da un’era glaciale, circa 20 mila anni fa, raggiungendo poi un massimo di temperatura. Quindi ai giorni nostri dovremmo vedere una lenta diminuzione di temperatura per finire, tra circa 100 mila anni, in una nuova era glaciale. Nel frattempo, però, è successo qualcosa di nuovo e mai visto prima. L’uomo si è sviluppato bruciando combustibili fossili e questi hanno aumentato la quantità di anidride carbonica (CO2) presente in atmosfera. Questo gas ha la capacità di intrappolare calore e dunque, anche se attraverso processi piuttosto complessi, tutto ciò è sfociato in quell’aumento di temperatura che oggi osserviamo a livello globale».

Questo è vero anche a livello locale?

«A scala locale di solito il tempo viene guidato dalle correnti atmosferiche: climaticamente, sulle nostre regioni se un inverno è caratterizzato da molti influssi di aria da nord sarà particolarmente freddo, altrimenti, se le correnti aeree vengono più frequentemente da ovest o magari dall’Africa, allora la stagione risulterà più calda».

L’anidride carbonica e gli influssi umani, quindi, non c’entrano niente con il clima di piccole regioni del globo?

«In effetti non è così. In uno studio appena effettuato e pubblicato con Giancarlo Modugno mostriamo che anche a questa scala gli influssi umani guidano l’andamento della temperatura. Vedi qui per una spiegazione più dettagliata».

Come mai continuano ad esserci discussioni tra scienziati su questo punto?

«In realtà il fatto che le cause del riscaldamento globale siano soprattutto di origine umana è abbastanza assodato in ambito scientifico e tra gli scienziati si discute su fattori di dettaglio. Sui media invece compaiono le opinioni più disparate, che spesso però non hanno una base scientifica valida. A mio parere questo succede perché il problema dei cambiamenti climatici, e delle azioni da attuare per contrastare i loro effetti più dannosi, va a toccare interessi economici importanti. Inoltre, esso interroga la nostra visione del mondo e del rapporto uomo-natura, tanto che spesso si preferisce ignorare risultati scientifici che mettano in discussione questa visione o, peggio, manipolarli perché diventino compatibili con essa. Di tutto ciò mi sono occupato più in dettaglio nel libro scritto per Città Nuova con Luca Fiorani».

Concretamente (e realisticamente) quale può essere (se c’è) il contributo del singolo cittadino?

«È ovvio che il problema è globale e dunque occorre uno sforzo internazionale per risolverlo. Tuttavia il negoziato è oggi in una fase di stallo e io credo che la spinta vera per iniziare ad andare nella strada giusta debba venire dal basso. Solo creando circoli economici e ambientali virtuosi a partire da piccoli gruppi il mondo economico può accorgersi delle opportunità che esistono in questo ambito e si può cambiare quella mentalità radicata nell’occidente per cui l’ambiente è solo un serbatoio da cui attingere risorse e in cui scaricare rifiuti. Ognuno di noi può fare qualcosa, almeno come consumatore. Bisogna cominciare a pensare che un’economia che non consideri l’ambiente sia in realtà un bluff».

Le previsioni meteorologiche, dal punto di vista del ricercatore, sono migliorate negli ultimi anni?

«Sicuramente i nostri modelli di previsione sono più accurati e affidabili. In particolare si riescono ora a fare previsioni migliori di eventi meteorologici intensi. Tuttavia, anche questi possono essere di poco aiuto se la gestione del territorio è dissennata, come dimostrano gli ultimi episodi di piogge violente e abbondanti in Italia e all’estero. Inoltre alcuni di questi eventi estremi, come le ondate di calore estive, risulteranno probabilmente più frequenti e intensi per via del riscaldamento globale. Quindi anche quando si parla di meteorologia, cioè del tempo che fa da un giorno all’altro, non bisogna dimenticare la tendenza climatica: certi eventi possono essere resi più pericolosi proprio dal riscaldamento globale di origine umana».

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