La scelta della pace e degli ultimi in Ernesto Balducci

La Chiesa e la liberazione dell’essere umano. Seconda parte dell’intervista allo storico Pietro Domenico Giovannoni sul pensiero di padre Balducci, esponente di una stagione ancora attuale di quel cattolicesimo fiorentino, inquieto e fecondo, capace di misurarsi sulle attese di giustizia e liberazione del mondo contemporaneo.
Balducci e gli ultimi. Foto marcia migranti sul confine Messico Usa (AP Photo/Marco Ugarte, File)

Con lo storico Pietro Domenico Giovannoni abbiamo iniziato a cogliere (vedi prima parte) l’attualità, in questo tempo di guerra, della figura di Ernesto Balducci, religioso dell’ordine degli Scolopi, esponente di quel fermento culturale fiorentino strettamente legato alle attese e alle novità del Concilio Vaticano e quindi della comprensione del Vangelo nel mondo contemporaneo.

Balducci fu esplicito nel rifiutare il collateralismo con la Dc ma in tal modo è stato accusato di aver sostenuto la scelta di quella frazione di intellettuali cattolici che il Pci inserì con corsia preferenziale nelle liste della sinistra indipendente. Che rapporti ha effettivamente avuto con l’altra chiesa del tempo e cioè il più forte partico comunista d’Occidente?
Sul presunto catto-comunismo di Balducci sono state scritte molte falsità e tante sciocchezze. Balducci traeva le logiche conseguenze delle decisioni conciliari. L’unità politica dei cattolici dopo il Concilio non era, da un punto di vista dottrinale, più sostenibile. In Italia questo discorso era particolarmente delicato ma per ragioni tutte “profane”, di ordine politico: un paese NATO con il più forte partito comunista d’Europa che ancora stentava a sganciarsi totalmente da Mosca e intraprendere la strada della social-democrazia. Non è un caso che per Balducci il documento più significativo dopo il Concilio sia il pronunciamento della conferenza episcopale francese del 1972 “Per una pratica cristiana della politica”, in cui non solo si legittimava il pluralismo politico dei cattolici, ma si prendeva atto della validità dell’analisi marxista sul carattere strutturale delle ingiustizie sociali. Su questo Balducci è stato molto vicino al lavoro teologico di Enrico Chiavacci. A Balducci erano chiarissimi i pericoli dei “cortocircuiti”, ed uso una sua espressione, tra fede e scelta politica. La sua polemica con i «Cristiani per il socialismo» e con Giulio Girardi verteva proprio su questa problematica.

In cosa consisteva questa polemica con i “Cristiani per il socialismo”?
Per Balducci i «Cristiani per il socialismo» risolvevano la fede nella scelta marxista: positivamente essi sottoponevano al vaglio del metodo marxista la fede, denunciandone i pericoli di ideologizzazione e quindi purificandola; ma al contrario non mettevano il marxismo sotto il vaglio critico della fede. Essi finivano per sostituire il marxismo al tomismo-aristotelico, creando nuovamente una fede ideologica. Per capire quanto Balducci abbia difeso lo specifico cristiano basta leggere “La fede dalla fede” del 1975.

Gli amici di Balducci che entrarono nelle liste del Pci nel 1976 lo fecero in piena autonomia e Balducci rispettò le loro scelte ma certo non volle mai essere, e mai lo fu, il cappellano dei catto-comunisti. La scelta di Gozzini e di La Valle costò a Balducci anche l’incrinarsi di antiche e care amicizie: quella con La Pira prima di tutto che, non a caso, accettò poi di candidarsi nelle stesse elezioni del 1976 nelle file della DC.

Con gli esponenti del Pci ebbe rapporti di amicizia, di stima, di affetto: condivise battaglie singole ma considerandoli sempre compagni di strada verso una più autentica liberazione dell’uomo. In una società secolarizzata, pluralista e democratica, per Balducci, e per molti altri, i cristiani erano chiamati a testimoniare la loro fede mediando sempre la Parola con la loro coscienza in un rapporto adulto, maturo e libero con la comunione dei fratelli, ovvero la Chiesa. Non aveva torto La Pira quando ebbe a dire a Balducci: “lei è il prete più anticlericale che conosca”.

A prescindere dalla sua collocazione partitica, nel suo pensare è sempre stata molto chiara una scelta di parte con gli ultimi, come i minatori della sua terra toscana, spesso in polemica con le gerarchie ecclesiastiche. Quanto ha inciso questa sua posizione nel cammino della Chiesa e di quella fiorentina in particolare?   
Luciano Martini, testimone oculare di tanta biografia di Balducci e che purtroppo ci ha lasciato troppo presto, mi raccontò una volta il suo primo incontro con il padre scolopio: Luciano era un giovane, studioso e intelligente, avido di letture e cultura e Balducci per prima cosa gli disse: “tutto bene, però ora per prima cosa andiamo da una famiglia bisognosa”. I poveri, ancora prima che la Teologia della liberazione lo dicesse con linguaggio colto, erano per Balducci il luogo teologico per eccellenza. Forse molti fattori hanno contribuito all’opzione per i poveri: la sua umile origine, la vicinanza con La Pira, ma prima di tutto una lettura sine glossa, come aveva detto Francesco d’Assisi, del Vangelo. Anche in questo ambito Balducci ha compiuto, come prima di lui La Pira, una rivoluzione copernicana: dalla carità come elemosina alla carità come politica per la giustizia. Il cristiano subisce una tentazione sempre molto sottile e intelligente: l’elemosina al povero di turno, l’adozione a distanza, i versamenti sui conti correnti postali delle associazioni onlus mettono in pace la sua coscienza: tutte iniziative sacrosante, perché se vediamo un affamato vediamo Cristo. E tuttavia ciò non basta: sarebbe come non investire metà dei talenti ricevuti. Il cristiano è chiamato a liberarsi e a liberare l’altro da ogni forma di dominio e di oppressione: che sia la povertà o che sia la ricchezza non importa. Sono entrambe schiavitù che limitano la libertà e l’autenticità del nostro essere.

Che valutazione ha dato, in tale contesto, Balducci alle correnti di pensiero della teologia della liberazione?
La pluralità di motivazioni che ho descritto portò Balducci a giudicare la teologia della liberazione una vitale provocazione per tutta la Chiesa: per i suoi contenuti e per il contesto della sua nascita essa apriva alla fede una più autentica comprensione del mistero della Parola di Dio nel tempo; nel suo essere prassi pastorale che si faceva riflessione teologica e in seguito riflessione teologica che fondava la prassi pastorale era immune dalla schizofrenia di certo cattolicesimo e magistero post conciliare; voce degli oppressi esprimeva autenticamente l’esodo di una Chiesa pronta a cambiare per fedeltà al Vangelo e all’aggiornamento conciliare; novità del mondo del sottosviluppo segnava la fine dell’etnocentrismo nell’evangelizzazione.

Cosa significa la svolta antropologica definita nel suo libro più noto “L’uomo planetario”?
“L’uomo planetario” è, forse, l’opera più famosa di Balducci. Stampata nel 1985 fece scalpore per le tesi ardite. Ma in particolare una: ogni religione avrebbe dovuto morire a sé stessa per rinascere. Avrebbe dovuto, in un atto estremo di fede, abbandonare le forme storiche, istituzionali, giuridiche che aveva assunto nel tempo, in spazi e contesti diversi, per aprirsi a una rivelazione, antica e sempre nuova, che è il disegno divino di salvezza dell’umanità, come unità, come unico figlio di Dio.

Questo abbandono apparente di Dio era in realtà la liberazione dell’uomo dagli idoli che si era costruito lui stesso, demandando a Dio solo la soluzione del male, del dolore e della morte. Cristo però ha rivelato un’umanità potenziale, che nasce e muore continuamente, perché lo Spirito è pronto, ma la carna è debole. La «svolta antropologica» è questo farsi uomo da parte dell’uomo; alcuni vi hanno visto la fine della trascendenza; io vi vedo la fede nell’incarnazione. Perché Dio si è già fatto uomo, quindi ora tocca all’uomo umanizzarsi davvero seguendo Cristo. E quando questo sarà compiuto l’uomo tornerà in unione perfetta con Dio: dove tutto è iniziato e tutto finirà, dove, nel mistero di un tempo che non è quello della storia, dove tutto continuamente inizia e tutto continuamente finisce.

Quale messaggio nel suo ultimo testo “La terra del tramonto”?
Ne “L’uomo planetario” e ancor di più ne “La terra del tramonto” mi sembra che tre siano gli elementi centrali: il primo di natura antropologica, il secondo di natura politica e il terzo di natura religiosa ed ecclesiale insieme. Potremmo dire che ci sono tre parole chiave: l’“uomo inedito” è l’uomo di pace, che può compiere un salto evolutivo della specie razionalmente compreso, voluto e vissuto; la “cosmopoli” ovvero il villaggio globale, la città planetaria, dove tutti sono cittadini semplicemente perché uomini e non per altri titoli giuridici o meriti morali, cittadini per diritto di natura e non più per diritto di sangue o di particolare suolo; il “Christus absconditus”, ovvero quello specifico cristiano inserito nella concreta unità del genere umano.

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