La “salita” in campo di Monti

Finita l'esperienza di presidente del consiglio, il senatore apre le porte ad una possibile candidatura. Nel suo discorso di fine anno, che coincide con il termine del mandato, ha illustrato i punti principali della sua "agenda", senza citare però i fallimenti che pure ci sono stati nel suo governo
mario monti

Il presidente Monti si è presentato ai cittadini italiani e alla opinione pubblica internazionale, nella conferenza stampa di fine anno che coincideva con quella di fine mandato, come non lo avevamo mai visto. Il discorso ha infatti risentito fortemente della fine brusca e prematura del Governo da lui presieduto, imprimendo a toni e parole una fortissima carica politica. Pesavano inoltre le prese di distanza, sia da destra che da sinistra, dall'operato del governo durante questo anno tanto difficile e travagliato. E il professore non ha fatto mistero di nulla.

Una volta tanto, il garbo e il tratto signorile rendevano più taglienti le parole e i giudizi espressi. Su Alfano, innanzitutto, che il 7 dicembre alla Camera aveva pensato di fare un intervento di “transitoria sfiducia”, destinato solo a comunicare al proprio elettorato che quel governo non piaceva neppure a loro che lo votavano; e invece aveva provocato le dimissioni del professore. Su Berlusconi, di cui fa fatica “a seguire la linearità” del pensiero. Su Vendola, la Cgil, Fassina, ritenuti prigionieri di una visione nobile ma conservatrice, un lusso impossibile. Su Tremonti e Brunetta, dei quali veniva in luce la tendenza a semplificare eccessivamente i problemi e dimenticare le responsabilità.

Un lungo intervento che catalizzava l'attenzione generale più per il futuro politico del professore che per il suo passato, rievocato piuttosto per rispondere alle critiche e rivendicare la riconquistata credibilità internazionale che per un vero e proprio consuntivo.

La discesa in campo (trasformatasi in “salita”, per la fiera difesa della politica, che sta in alto e non in basso) che tutti attendevano di verificare c'è stata, e piena. Magari poco accessibile alle liturgie diffuse, che ci hanno abituato alla personalizzazione e alla costruzione dei programmi intorno al leader. Il professor Monti ha invece delimitato un perimetro programmatico, già ampiamente preannunciato nel corso della conferenza stampa e poi pubblicato on-line, dal titolo: “Cambiare l’Italia, riformare l’Europa, agenda per un impegno comune”. L'Europa è il perno del programma, un'Europa più comunitaria e meno intergovernativa, e un'Italia “a testa alta”, che deve avviarsi alla crescita puntando – tra il resto – sulle donne: questo è stato l'altro punto programmatico sul quale il presidente Monti ha posto l'enfasi maggiore. Ma senza dimenticare la giustizia, le riforme istituzionali, la ricostruzione di un senso comune di appartenenza attraverso un fisco meno diseguale, la lotta alla corruzione ed altro, auspicando norme “ad nationem”.

Un'illustrazione puntuale ed anzi puntigliosa, che ha difettato per mancanza di qualsiasi autocritica rispetto alle aspettative e alle speranze ingenerate un anno fa, andate deluse per quanto riguarda l'equa distribuzione dei sacrifici che la crisi finanziaria ha richiesto e le attese sforbiciate alla spesa pubblica improduttiva e clientelare. Anzi, i limiti dell'azione di governo sono stati addossati alle forche caudine parlamentari ritenute responsabili di aver impedito di portare fino in fondo i provvedimenti. Ma lo sguardo del senatore Monti era rivolto al futuro e al programma da realizzare, sul quale ha chiesto adesioni senza chiudere la porta a candidature alla premiership. Al contrario, ha detto chiaramente che se ci saranno condizioni che garantiscano la credibilità necessaria (“una credibile adesione”, ha chiesto), accetterà di essere candidato di nuovo alla guida del governo. E comunque valuterà, dopo le elezioni, le proposte di impegno che il Parlamento volesse avanzargli.

Quella della credibilità è quindi la sfida lanciata a coloro che, dalla prima o dall'ultim'ora, si prefiggono di sostenere Mario Monti per un secondo mandato. Chi possono essere? Qui il professore ha fatto intendere una duplice via di reclutamento di forze: da un lato politici che militano in vari partiti, dei quali magari non condividono importanti linee programmatiche (e ha fatto alcuni nomi: Ichino per il Pd e Frattini e Cazzola per il Pdl); dall'altro lato – e più incisivamente – la “società civile”. Se questo secondo terreno può offrire l'opportunità a molte persone competenti e generose di impegnarsi, quello dei politici già impegnati ha un potenziale che può essere dirompente, giacché potrebbe provocare scissioni e smottamenti dai partiti maggiori, rimescolando – poco o tanto si vedrà – tutto il quadro politico. Ma non mette in crisi solo Pd e Pdl; forse ancor di più colpisce l'Udc di Pierferdinando Casini e Fli di Gianfranco Fini. Proprio loro, gli ultra-montiani, infatti, devono saper garantire una profonda innovazione di metodi e persone. Staremo a vedere se sapranno cogliere questa sfida, che è anche una opportunità.

Questo ci avvicina ad un'ultima considerazione. L'agenda Monti, che finalmente cessa di essere un riferimento vago per diventare programma, potrà essere valutata da tutti noi e condivisa o rigettata. Ma il presidente Monti ha già dato un contributo che speriamo contamini tutta la politica: sobrietà e stile, ma soprattutto un linguaggio di competenza, di verità e di responsabilità, che rinuncia alla facile cattura del consenso per chiedere invece ai cittadini di misurarsi con proposte programmatiche reali e realistiche, in una visione chiara, di lungo periodo e nell'interesse del Paese. Una politica nella quale, appunto, si sale e non si scende. Forse, quella vera.

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